Stelle di Baghdad

Sono notti che non chiudi occhio.

Notti che ti scavano ombre profonde sotto le palpebre e sulle guance, così oggi il tuo volto è cambiato per sempre, scurito dall’angoscia, anche se nessuno verrà mai a dirtelo.

Gente per i viali come battaglioni di formiche in rotta, gente dalle cui figure sono stati cancellati i volti, gente che corre rasente i muri e dentro i portoni, gente che grida, gente che ha scelto il silenzio. Una grande agitazione si scarica nei respiri, una confusione di gesti, mani, braccia, passi, battiti di ciglia che nessuno sa più come pesare, dove dirigere.

Nessuno guarda dove va perché non c’è più un punto di fuga da immaginare, come se lo spazio si fosse curvato  su se stesso fino a spezzarsi. La luce delle esplosioni fa invecchiare troppo in fretta quelli che resistono (Teoria della relatività esistenziale).

Sono notti che non dormi, da quando Rada ha cominciato a parlare inanellando le frasi per la prima volta, con un andamento di cantilena.

Ti svegli nella notte di soprassalto e la città è ancora illuminata a giorno come durante le festività religiose. Guardi per primo il piccolo letto di assi sfasciate lì accanto, vedi la coperta scivolata a terra, vedi solo una vecchia giraffa di pezza con il collo storto.

Poi guardi Rumi accanto a te, dorme rigida come un angelo malato.

Balzi giù dal letto, con due salti sei al portone di casa, con sei slanci fai due piani verso il tetto, esci come un indemoniato sulla terrazza.

Vedi i bagliori sull’orizzonte che incendiano nuvole di polvere densa e fumo.

Trovi Rada appollaiata sul bilico di una vecchia grondaia arrugginita. Sorride.

Sorride col capo voltato in su ai traccianti di luce che imbastiscono il tessuto del cielo scuro.

Dice molto più e molto meglio dei soliti mucchietti di sillabe stentate cui vi ha abituato. Ha cominciato ad articolare frasi.

Dice qualcosa sulle stelle che si sono messe a correre, ti chiama papà, quattro, cinque, sei volte e agita le braccia, insiste perché tu venga a vedere dove cade la luce delle stelle, oltre il fiume.

Laggiù.

Fai appena in tempo a strapparla via dal precipizio prima che si sbilanci, la abbracci, la porti giù scendendo gli scalini lentamente, affascinato da questo correre disordinato di lingua. L’orgoglio ti solleva la pelle.

Rumi nel letto apre gli occhi a fatica. Quando l’onda sonora della voce di Rada la colpisce si illumina. Torna viva.

Le stelle, le stelle vengono da noi. E’ pazzesco. La luce che cade laggiù.

Rumi come l’hai vista forse solo la prima volta, senza pensieri, canta e saltella con il vestito che le aderisce addosso, bagnato, vicino a una fontana, dieci anni fa.

Perciò hai rubato una vecchia Mercedes la prima notte che la città s’è spenta come a un funerale, prima che arrivassero le sirene.

E’ stato a furia di non dormire che il sonno arrivava come una maschera di piombo, improvviso, per portarti via lo sguardo, l’attenzione.

Rada voleva stare sveglia per vedere la luce delle stelle traccianti. Parlava. Piagnucolava. Scappava. S’arrampicava con forza sui gradini alti fino al terrazzo. Non c’era verso di tenerla addormentata.

Hai lasciato Rumi a rigirarsi nel dormiveglia, ti sei messo Rada cantilenante cavalcioni attorno al collo e sei sceso nelle strade scavando la massa densa del buio con una piccola torcia che regalava un metro scarso.

Alla Mercedes ti ha guidato un chiarore accennato. Hai tastato muri, evitato travi sporgenti e vetri in frantumi, c’era un fuoco tra i palazzi, un uomo che ti ha sbarrato la strada all’improvviso.

L’hai colpito subito senza pensare nemmeno cosa potesse volere o chiedere, l’hai colpito forte tenendo Rada stretta per un ginocchio. Lui è caduto, ha fatto il suono di un grosso frutto maturo contro il suolo.

Hai dato lo stesso colpo con il pugno avvolto nel giubbotto e hai rotto un finestrino di Mercedes, giocato coi fili e provocato una scintilla, hai messo Rada sulle ginocchia, tra te e il volante. Siete tornati a casa molto lentamente, centellinando la luce dei fari.

Lei parlava fitto fitto, combinando a caso la parole.

Ogni tanto nominava le stelle.

Le stelle traccianti.

Rumi s’era svegliata ed era scesa in strada. Alla vista dei fari della Mercedes era scappata a rintanarsi nel portone.

Hai dovuto urlare per farti riconoscere. Ci hai messo un sacco di tempo per calmarla, per convincerla a mettere il minimo in tre grandi fagotti di lenzuola. Quando la Mercedes è ripartita albeggiava.

Il buio sfumava in un chiarore seppia di polveri disperse. Rada tra le braccia di Rumi sporgeva gli occhi al cielo dove avevano ripreso a correre i traccianti luminosi.

Uomini in strada si spostavano velocemente, sguardo basso, correvano, si scontravano spalla su spalla agli incroci. Altri faticosamente trasportavano travi, corpi, una quantità di oggetti pesanti.

La radio non dava indicazioni certe sugli spostamenti delle truppe.

Solo allora hai pensato che non sapevi dove andare.

Rumi s’era riaddormentata.

Il suono lugubre delle sirene è esploso tra i palazzi.

Hai sterzato di colpo e Rada le è scivolata dalle braccia cadendo ai suoi piedi. Ti ha guardato, occhi neri umidi, dal basso.

Come chiedendo se fosse il caso di piangere o meno.

Hai accelerato fissando un unico punto in cui c’era ogni direzione. Nord sud est ovest. L’autostrada sotto ha cominciato a correre ma non come volevi tu. La Mercedes, come se avesse un freno d’asma inserito.

La luce ha cominciato a farsi ocra e poi dorata col sole più alto. Pompe di benzina incendiate ai lati della carreggiata. Rada in piedi con gli occhi vivaci, appuntiti. Aggrappata con le mani al cruscotto chiede dove andiamo, dove andiamo, e se staremo via molto.

Hai passato un posto di blocco con i soldati occidentali sorridenti, inteneriti, che le davano piccoli buffetti sulle guance sporche.

Poi improvvisamente non c’erano che pochi chilometri rimasti, la spia del carburante fissa che non lampeggia più e di nuovo le sirene e una pompa di benzina abbandonata.

Rumi continua a dormire un sonno profondo che ti sorprende, con tutto il chador tirato giù sul viso. Le scopri leggermente il volto, la guardi come se volessi essere al posto suo, in un intervallo di lontananza prima di riaprire gli occhi su un mondo di rumori soffici, di luce chiara, trasparente.

Lasci la portiera aperta, scendi a cercare una manovella per azionare manualmente la pompa del carburante.

Rovisti in un casotto d’attrezzi mezzo crollato, sporgi la testa dentro scatoloni grigi, sopra scaffali coperti di polvere, poi resti immobile. C’è un rumore di bombardieri che prende forma da un vago ronzio che avevi nelle orecchie.

Esci dal casotto mentre cominciano le esplosioni, lontane, dalla parte opposta della strada. Vedi Rada che scende dalla macchina e attraversa da sola la carreggiata. Trascina dietro la giraffa di pezza come un trofeo di caccia. Due piccole dita intorno al collo spezzato. Una cantilena sulle labbra.

La luce, la luce è caduta laggiù.

Ti scappa un sorriso dalla maschera tesa. Guardi i solchi di luce bianca nel cielo che si sfiocchettano e si intrecciano cadendo nell’orizzonte. Ti metti a correre, superi le pompe, la macchina, la strada, raggiungi Rada in un campo di sabbia grigia e sassi appuntiti, vicino a certi capannoni circondati dal filo spinato.

La luce si avvicina in diagonale dalla sinistra creando al suolo sbuffi di polvere gialla sempre più grandi.

La luce a un certo punto è caldissima, si mangia ogni dettaglio. Sta avanti e dietro e sopra e sotto e ai lati e ti spinge violentemente.

Pensi che questo è l’ultimo atto, che quello che viene ora è solo pace e silenzio e assenza, non può essere altro.

Hai l’immagine chiarissima di Rumi che ti saluta con la mano aperta dall’altra parte della strada, sotto la pensilina, mentre rientra in macchina.

Voi tre che ripartite sorridendo, tenendovi stretti a grappolo con le braccia sui sedili anteriori della Mercedes (Teoria della relatività metafisica).

Poi apri gli occhi e vedi Rada accanto a te aggrappata stretta a una tua gamba ferita. Il sangue è irreale. Lei coperta di sabbia che sembra appena uscita da qualche tana del deserto.

Un grande silenzio.

Davanti a voi La pompa di benzina brucia, la Mercedes scompare in un inferno, le fiamme alte si spingono oltre la pensilina, verso il cielo.

Guardi Rada in basso, grandi occhi neri lucidi.

Non puoi dire che espressione abbia. Solo quello che non fa.

Non chiede e non piange.

4 risposte a “Stelle di Baghdad

  1. no, non c’è pace. per questa capacità d’immedesimazione. per questo modo dolce di strappare la pelle a brandelli e la pelle in confronto è poca cosa. potrà mai perdonarci, Rada? (grazie)

  2. E intanto scopri che laggiù, ad est, un pazzo esaltato deve dimostrare al mondo che ce l’ha duro e allegramente prepara uno speciale fuoco di artificio a gittata intercontinentale per autocelebrarsi a dovere. Tra il 10 e il 22 dicembre. Quando non è chiaro, magari il 21. Alla faccia di chi non crede ai Maya. E ti immagini gli occhi di un’altra Rada, occhi di meraviglia……

    • la capacità di “ricostruire” il mondo su basi ottimistiche che hanno i bambini è una risorsa inesauribile, la maggiore di cui dispone, in definitiva, l’essere umano pedinato dai Maya.

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