Ventunododici, Il gioco del mondo – Insurgentes (episode three)


Spinto dall’illusione della vicinanza fisica che lo pressa, Geko si fa trascinare da una vasta massa urlante che si rovescia lungo le strade strette e complicate del centro di Città del Messico. Tra questi acciottolati pieni di inciampi, attraverso le smorfie esagerate della gente che gli ronza intorno avverte strani riverberi cinetici sotto la pelle.
Una ragazza con il volto dipinto da grafiche indie lo sfiora col suo pianto dirotto, disperato, ostentato, e lui ha un brivido, una percezione, quasi un’iperbole di presenza viva che lo sconvolge.
Gli schermi televisivi issati agli angoli delle strade trasmettono la diretta mondiale dell’evento. Negli studi patinati dei cinque continenti una fiera di esperti approfondiscono gli aspetti particolari della questione.
Un grosso esponente ingessato in un doppiopetto standard resiste in piedi in qualche torrida sala stampa circondato da un mazzo di luci e microfoni insinuati. Sta almanaccando le ragioni della crisi, le vecchie e le nuove strategie, la scarsità di risorse, le opportunità future.
Mostra un tono e un’intenzione pacifica, assolutoria nei confronti dei sanguinosi disordini della piazza globale, sembra lanciare un milione di ciambelle di salvataggio morale verso queste anime perse, armate di mani vuote, di gesti protesi, affamati, carichi di ridicoli sassi pronti a essere gettati avanti.
Geko ha armeggiato con i comandi delle leve finanziarie, gli è bastato avviare una campagna globale di diffusione di un’ultima generazione di Derivati finanziari, allearsi con gli stakeholder cinesi che sono ben piazzati ovunque, giocare con i prezzi delle materie prime e ottenere in pochi minuti un ulteriore fronte minaccioso di povertà pronto a scaricarsi sulla protesta planetaria.
Si tratta di un movimento straccione ed eterodiretto, carico di vuota disperazione, certamente inadatto a provocare una qualche forma di efficace dinamica oppositiva.
Geko ne sa qualcosa. Il professore paterno è stato uno degli architetti globali che hanno concorso a progettare e promuovere questi efficienti cavallucci della Troia finanziaria, gli insondabili Derivati. Per conquistare il territorio, un tempo, si minavano ponti, ferrovie, campi di girasole. Uno sciocco sistema, faticoso e scarsamente remunerativo, dopotutto.
I conti cominciano a tornare, ora, l’auto-separazione emotiva che la natura gli ha imposto lo rende lucido come un corpo di routine di codice che si dipana per automatica necessità.
Non c’è altra risorsa utile che lo possa instradare a questo punto del gioco, lasciandolo libero di intuire chiaramente il perchè e il per come di questa macabra danza olografica che l’ha intimamente catturato.
Geko conosce le potenzialità esorbitanti dei nuovi sistemi esperti che si muovono alle spalle del game, la velocità inconcepibile di un calcolo binario proiettata su una pista di operazioni eseguite in parallelo. Sa che hanno la capacità di apprendere dall’interazione con l’uomo che li guida e che li pensa ancora come schiavi affidabili, da poter spegnere all’occorrenza.
Uomo e macchina fusi in una inconcepibile CPU che genera una realtà Esperta, ineludibile. Il game non è altro che un test di gigantesca portata. Raccoglie informazioni sulle dinamiche tra il player e il collettivo sociale. Con questo gingillo, con l’anima traversa di un cacciatore di potere, si può ridurre la molteplicità vitale di un intero mondo alla banalità gestibile di una nazione unica.
Geko vorrebbe poter avere l’inclinazione e il tempo utile a ragionare meglio su tutto questo, e sta quasi per mettere nuovamente in pausa il gioco, salvare la partita, isolarsi un po’.
Deve cedere invece a un istinto che lo trattiene.
Così si mette ad armeggiare tra i menù delle azioni di contrasto, muove i led di controllo in modo da avviare in modalità veloce il finanziamento a pioggia e la fornitura di armi e tecnologie innovative ai movimenti dell’opposizione globale. Carica il modulo ideologico radicale e lo affianca a quello basilare della necessità di sussistenza nei rappresentanti umani che governano gli snodi della protesta.
In un raduno di concentramento dei nostalgici dei soviet, in un paesino fuori mano della Siberia, Geko sperimenta di nuovo quell’iperbole realistica che gli confonde i sensi.
A un certo punto, l’oratore che ha in mano il filo delle coscienze di quell’happening mal riscaldato e storto dall’alcol pare rivolgersi direttamente a lui. Gli pare persino di udire il proprio nome pronunciato.
Un brivido di puro nervo fa tremare la schiena del ragazzo, non si può escludere che il piano del game e quello della realtà si stiano vagamente confondendo. Se questo processo avvenga nella pericolosa testa di Geko o nelle routine di apprendimento esperto del sistema non si può sapere, ma il suo livello di allerta animale s’impenna.
Non crede di poter cedere al delirio così facilmente, e può trattarsi persino di un trucco, una trappola seminata dal padre stesso.
Il professore, prudentemente, ha sempre creduto nelle qualità superiori del ragazzo, ne ha avuto da subito una certa paura. Perciò l’ha cresciuto con puntualità diligente, ha cercato di curarne l’educazione morale e professionale nei dettagli.
Il gioco del mondo sottopostogli, a trarre conclusione, ha una doppia funzione: da questo verso, è il geniale crogiolo di esperienze attraverso cui studiare l’attitudine di Geko a raccogliere l’eredità paterna, lo scivoloso bastone del comando. Se sia in grado di afferrarlo o meno, se sia capace di tenerlo alto nel nome di ciò che è giusto, da questa valutazione dipende l’esistenza in vita del ragazzo.
Geko visita le piazze ribollenti del mondo, come un alacre imperatore virtuale scorre le truppe dei vecchi e dei nuovi diseredati che versano sabbia negli ingranaggi del sistema, sentendo adesso tutta la responsabilità di trovarsi insediato al comando di una rivolta planetaria che deve guadagnarsi lo show-down finale.
I capi politici del movimento, tuttavia, si rivelano presto essere null’altro che un manipolo di attivisti dei diritti locali cresciuti nelle culture di una vecchia, moribonda sfera di lettura del reale. Gente oppressa dalla fede, dalla lucentezza narcisistica del proprio credo, capace di dar fuori l’esistenza personale, di gettarsi come kamikaze nella lotta senza avere altro panorama che la ristretta prospettiva del proprio territorio.
Eppure c’è stata una terribile accelerazione, lo scenario è saltato. Le regole sono state riscritte, pochi umani e sistemi esperti auto-apprendono all’oscuro delle menti curvate.
Geko guarda tutto questo, lo spreco di anima e dolore, non gli riesce di provare nemmeno un residuo di umana pena. Adesso sono solo lui e il sistema, che attraverso il labirinto del gioco si contendono le sorti del mondo. Due pallide entità svezzate, provviste ancora dall’infinita capacità di apprendere, di gestire lucidamente le morti e le eccezioni. C’è poco di emotivo a fare schermo di saggezza.

In un fantasioso bar di passaggio, su una polverosa pista di sabbia battuta della Mauritania, Geko si osserva buttarsi a corpo morto su una sedia sgangherata, con quell’ingiustificabile aria indurita da battitore esistenziale.
Ascolta un notiziario in francese di cui capisce solo alcuni tratti. Lo speaker diffonde un aggiornamento di agenzia del catastrofico quadro complessivo.
Sente pronunciare distintamente nome e cognome, ruolo professionale del padre, poi c’è una dichiarazione, inattesa, rilasciata ai network mondiali. Il professore non s’è mai spinto così oltre nelle sue smanie di controllo. E viene nominata un’emozione, un figlio, un dolore, probabilmente. Qualcosa di intimamente personale che rende necessaria una svolta di nuova vita per sé e anche, in un momento così delicato della storia, per l’intera l’umanità stessa.
Il dolore della perdita di un figlio, il sacrificio del figlio del padre compiuto in nome della salvezza di tutti.
Geko non può impedirsi di ridere, di cuore, poi di riflettere, con la concentrazione utile di uno specchietto che provoca scintille. E non è più un falò di intuizioni disattente quello che si concentra sotto la sua speciale epidermide alessitimica.
In una serie di bagliori consecutivi il ragazzo capisce che il messaggio paterno, qualsiasi possa essere la via traversa per cui è sgorgato da un’ipotetica radiolina tuareg ai margini di un deserto virtuale, è reale e concreto come il pavimento grezzo di una cantina.
Forse il sistema si è già evoluto al punto da cominciare a eseguire alcune delle proprie operazioni distruttive sulla realtà.
Solo così il professore avrebbe avuto la possibilità di accorgersi che qualcosa del disegno non andasse per il tratto giusto.
Qualcuno sta utilizzando il game prima della data stabilita, adoperando e scambiando dati e immagini con gli infiniti sistemi interconnessi del mondo. E’ ragionevole pensare che qualche Firewall di controllo non fosse stato ancora alzato a isolare l’ambiente di test dalla realtà viva del globo.
L’intervento inatteso di Geko ha introdotto una variabile impazzita. Perciò lo scenario non è più quello di un padre che vuole sondare le grazie morali di un erede, piuttosto quel padre ha ora la necessità pressante di sbarazzarsi del proprio inaffidabile figlio.
Tutte le religioni del mondo andrebbero rifondate alla luce di questa rivelazione, pensa il ragazzo, prima d’alzarsi dalla seggiola malmessa e provare la sensazione fredda di essere perduto.
Tempo non ce n’è più.
Geko manovra gli Escape opportuni per tornare a uno dei menù di ordine superiore del ruolo finanziario. Sotto la scritta:-Società – NEW-, scopre alcune risorse non specificate che danno accesso a un contesto di gioco stratificato per fasce generazionali. La grafica è poco definita, un led button mostra l’ambigua dicitura: -Teeny – generatore di ritmo-.
Appena dietro di lui, poco sopra la spalla sinistra, un’ombra è sgusciata ai limiti della percezione. Tra Geko e il sistema che comincia a sfarfallare e il profilo di un fantasma Tuareg che sta alzando una precisa Beretta su di lui, la vita che sta per sgretolarsi, c’è solo quel fuorviante, forse inutile, led di accesso al generatore. Non c’è molto altro da inventare.
Il tempo si dilata indefinitamente, come un anticoncezionale di lattice riempito da un filo caparbio d’acqua.
In questa danza di impossibile lentezza il ragazzo ha modo di percepire gli organi interni che si contraggono e scalciano, l’adrenalina che si vuota nel sangue, un umore che come un’onda sale sotto la pelle fino a deporre quella gelida carezza alla base del cranio.
Così è un emozione. In tempo, poco prima di andarsene.
Così pensano le lacrime che come insetti torpidi, per la prima volta, gli si arrampicano nel cavo dello sguardo.
Geko dà una botta veloce al led, e butta se stesso a terra. Ciò che succede poi è un vertiginoso avanti veloce che non si può recuperare.
Mentre tutto il sistema comincia a smaterializzarsi lentamente obbedendo alle routine di arresto macchina che hanno preso il sopravvento operativo, in pochi nanosecondi il generatore di ritmo produce una traccia musicale rozza e ripetitiva e la diffonde sulla rete, nelle radio e fin dentro i musical-pod.
Con il sostegno attivo delle ultime finestre Social che vanno chiudendosi, oltre cinquantamila flah-mob giovanili vengono ordinati ed eseguiti a pioggia su tutto il territorio in rivolta del pianeta, quasi in tempo reale.
In un lampo le strade vengono invase, le piazze rioccupate, gigantesche colonne di casse acustiche vengono issate contro i palazzi e i monumenti e i cartelloni pubblicitari.
Accanto alle folle perdute che protestano e manifestano, in mezzo ai depressi isolati indecisi a tutto, tra le pause serpentine delle riunioni segrete delle Lobby globali, gli adolescenti di ogni mondo si infilano ballando selvaggiamente il Gangnam Style, o qualcosa di analogo mutuato.
Le attività di amministrazione ordinaria del traffico terrestre si bloccano, i commerci si intasano, i mercati crollano, gli oscuri finanzieri del 666wealth piangono un secco definitivo dal vuoto degli increduli occhi arrossati.
E anche Geko si risveglia a terra, ferito, con la pelle largamente aggredita dal cemento grezzo del pavimento di famiglia.
Si tira su e rifiata. E su se stesso opera un controllo di realtà, di piena esistenza in vita. Con meticolosa precauzione, alla stregua di un ipovedente, Geko si mette a tastare le pareti della cantina, a scalciare la fisicità del cemento che l’ha abraso, a cercare l’uscita di scala stretta della cantina, per confermare una certezza.
Oltre quella certezza, alle sue spalle e intorno a lui, sente distintamente tutta l’idiozia felice, animalesca del Gangnam Style che albeggia e lo raggiunge dall’anonimato delle strade adiacenti la villa.
E anche lui, si.
Spegne una falsa luce e mette su il buon viso.
Comincia a ballare.

THE END

7 risposte a “Ventunododici, Il gioco del mondo – Insurgentes (episode three)

  1. Il Giovane Geko, il giovane Sistema, l’uno impara dall’altro. Abbiamo inventato il mondo mettendoci ognuno qualcosa di profondamente privato, al tempo stesso la misteriosa chimica universale ci domina in ogni molecola.
    Ed è interessante il parallelo Geko/Messia, in fondo c’è sempre un Padre che sacrifica un Figlio molto amato per la salvezza dell’umanità, che altrimenti verrebbe sterminata dal Padre stesso. Il tuo gioco osmotico riesce a calamitare e intrecciare tra loro tutti i “menu” possibili, compresi quelli improbabili e alla fine è inevitabile fermarsi a riflettere su quanto interiorità e dinamiche collettive siano tra loro inestricabili.
    Gran bel racconto visionario, con tutti gli elementi necessari a farne qualcosa di più, hai visto mai. 🙂

  2. strani fenomeni paranormali sono avvenuti..che sto padre, ad esempio, somigliava sempre più a Mariomorti, e anche che tutto il giocattolo m’ha praticamente svuotato, fino al punto da invidiare quasi la nonchalance piatta e asinina con cui un Moccia si può permettere di sedersi davanti alla tastiera..:-D

  3. ottimi sviluppi philipdickiani, aggiornati ai tempi correnti. bello il doppio filo (che si fa triplo) tra realtà oggettiva, realtà virtuale (più o meno finanziaria con inevitabili incubi *derivati*) e realtà soggettiva. la prosa è avvolgente, ma mancano completamente i dialoghi e sentire la viva voce di geko che parla col “sistema” – oltre a quella del narratore onniscente – non sarebbe stato male (forse).
    e l’amorale è: che siamo tutti in ballo (vedi il commento alle sezioni precedenti circa la “brutta danza concordata da balera esistenziale”…), ovvero che tutti si balla, ma che la fine del mondo è una balla.
    (occhio, refuso: “un emozione”)
    ps: non male ‘sto steven wilson (non lo conoscevo). grazie.

  4. ci penso da settimane. è che mi sento in pericolo, Alex. mi leggo intorno e scopro, qua e là, una orrenda gara tra testo e commento, mentre ci sono racconti che ti lasciano muta, pensierosa, raccolta e non hai da aggiungere, né da togliere, né da esprimere nient’altro che la tua silenziosa meraviglia.

    • intanto evviva che sei risorta..il pericolo funziona come la scarsità, e talvolta il paesaggio parla di noi. anzi
      Il paesaggio siamo noi, avrebbe detto Jung.

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