Teneva il basso come un mitra – performing on bass mr. Jaco Pastorius

– Pastorius: “Seguo la tua musica dai tempi di Cannonball Adderley e mi piace molto”.
Zawinul: “Cosa vuoi?”
Pastorius: “Mi chiamo Jaco Pastorius e sono il più grande bassista del mondo”.
Zawinul: “Togliti dai piedi, imbecille” –

La punta di un basso elettrico che scava una melodia ti possiede dall’interno, fa vibrare una profondità sensoriale che è parallela soltanto alla bocca dello stomaco. Il messaggio passa per una strada vicina alle pareti molli del corpo, alle viscere, al dinamismo di emozioni senza ragione.
Il messaggio è un ritmo, una descrizione primitiva di assetto, per questo il basso è uno strumento scuro, un mezzo demonio, un figlio della notte musicale eterna, non ci sono santi.

Quando un’anima ruvida come quella di Jaco Pastorius gli si accosta alla fine degli anni 60 il cielo si affretta a fare spazio, è il periodo delle costellazioni maledette, delle vite mangiate dalla musica.
Lui ha il sangue indiano che bolle nelle vene, nelle braccia una velocità di killer, la musica che suona è quella di un predestinato, è unità di veicolo e meta, tutto nello stesso tempo tra il jazz e il rock e l’inesprimibile.
Chiunque altro da ora in poi non potrà che limitarsi a passeggiare in circolo, tra il proprio piccolo manico e l’attrezzo sporco di Jaco che ha seminato la linea dell’orizzonte.
Non ci sono santi nemmeno a pregarli.

La storia si tuffa in una notte fredda, forse il novembre del 1974. Forse non ha importanza dopotutto, perchè tu hai un’età di occhi sgranati che incassa tutto, che beve le ipotesi in un sorso solo, che forse non digerisce bene ma tiene conto, la memoria instupidisce di meraviglia e ti fonda negli anni.
In quella notte a dodici anni succede che tuo fratello, brusco, ti infila il cappotto e ti infila nella 500 rossa e ti trascina per molte strade trafficate e poi in un parcheggio immenso dove le macchine fanno a sportellate. Una specie di babilonia imbrattata di luce gialla, piena di gente che salta vetture e pozzanghere e cancelli e controlli fin sopra le gradinate e sotto un palco sfolgorante e fumigante, e tu che non hai ancora ben capito che cavolo succede, ti sembra minimo un’astronave che ha un messaggio fondamentale da trasmetterti.
Tu strapazzato da gomiti nei fianchi, niente bene ovvio, al momento non sapresti proprio cosa rispondere.

Poi quando la musica esplode non sei preparato, ma nemmeno ora te la passi troppo bene visto che hai deciso di scrivere su carta memoria una storia che non esiste se non come traccia nervosa, teatro di un’estasi privata, giro di basso astrale senza ritorno.
Devi quindi ricostruire, come esordisce strafottente la band di mr. Pastorius il cui nome è Weather Report, come evoca le coordinate di un Black Market materializzandole da un fracasso di improvvisazioni e rumori e voci.
Sono in cinque e suonano il jazz-rock degli indemoniati, ognuno per conto proprio; mettono su una specie di Guernica melodica fluttuante che converge lentamente in una tensione armonica, e l’uditorio tutto si spacca in migliaia di braccia tese come urla sull’avvio del tema principale.

Essere lì, sentirsi perdere in una fuga sensoriale di tempi spezzati, non capire da dove vengano e dove vadano le note, fregarsene di quali colpi di strumento, di quali ricorsività armoniche astruse sostengano la specifica meraviglia che la musica ti suggerisce.
Ti senti come una materia fluida che vibra, che sta insieme per dinamismi nuovi, sfuggenti come il suono dello schiaffo di una mano sola, una specie di felicità senza forma che non riesci a definire.
Diciamo pure che, invece, quel quarto d’ora preciso te lo ricordi ancora perfettamente, come attraverso la lucidità carica che accompagna un incidente.
Il silenzio che si fa, la luce che viene giù, la band ingoiata dalle quinte, lo spot centrale che si accende.
Solo mr. Pastorius è rimasto a passeggiare lentamente nel buio del palco, capelli lunghi sudati, fascia indiana a mezza fronte e viso scavato nell’ombra.
Si intravede che tiene il basso come un mitra, come un attizzatoio, come un coccodrillo strangolato.

Le note che fa sono senza senso, non belle nè sensate, sono note così, buttate come scricchiolii di una logica rotta, dopo un minuto non se ne sente la fine nè un mutamento di sintassi, le facce in platea cominciano a girarsi le une fronte alle altre.
Lui avanza a passettini, quando incrocia il cono di luce dello spot comincia a comporre piano la linea melodica di The Fool on the Hill dei Beatles.
La faccia di Jaco sorride in una mitragliata di rughe precoci, per un istante si tocca con mano la sofferenza, in un attimo il basso stringe l’esofago e fa risalire un bolo di commozione fin sotto i denti. Ma non è finita.
Con uno schiaffo di nervi Mr. Pastorius torna una sfinge, comincia a strattonare le corde del basso, ne vengono scintille di Three Views of a Secret a un ritmo denso che è come una stretta che s’impossessa del respiro e lo frusta su una traiettoria di swing e tu evapori.
A un certo punto smette di suonare, si ferma. L’assenza improvvisa di note è come il dolore sordo di un colpo.
Nel vuoto.

Jaco si siede mollemente su una cassa e nasconde il viso tra i capelli lunghi, sembra quasi che gli abbiano staccato la corrente dai gesti mentre ricomincia a sfregare senza senso le corde del basso.
Il pubblico rientra in te.
Parte un fischio, cinque fischi, molti fischi a un certo punto della fiera.
Jaco si rialza in piedi e fa un versaccio, alza il medio verso la platea e gli spalti e gira le spalle in mezzo agli ululati che montano feroci e come niente se ne va.

Successe che Jaco Pastorius se ne andò a metà del concerto.
La Band non ci mise molto a riprendersi gli applausi e l’attenzione tutta. A te venne una stanchezza da sovraccarico emotivo, tuo fratello se ne fregò e tu non gli dicesti niente. La vicenda si chiuse lì per un po’ di tempo.
Fino a quando la musica non entrò a farla da padrona.
Con l’estro di chi lascia la testa nelle nuvole sei tornato in mezzo a quel concerto un’infinità di volte.
Mr. Pastorius nel frattempo se n’è andato a metà del viaggio, un poco prima, dopo aver prodotto tutto il genio e la desolazione che si possano umanamente concepire, dopo aver suonato come un diavolo e dopo aver seminato una processione di ultime collaborazioni assai scadenti.
Mr. Pastorius è stato accoltellato a notte fonda in una rissa tra anonimi ubriachi non ricordo neanche quanti anni fa.
Lui come niente ha tolto il disturbo, mentre il suo demone lo picchiava in un momento di debolezza.
Un po’ come a quel concerto, se ci pensi.
La ferita schizoide di un’anima, il canto incomprensibile di un essere alieno che scherzava con le ombre, che per una sera, nel 1974, seppe suggerirti l’inaudito di un’alba dei tempi, più di ogni altro.

https://www.youtube.com/watch?v=Zd6DTRywF7Q

3 risposte a “Teneva il basso come un mitra – performing on bass mr. Jaco Pastorius

  1. Leggere questa splendida cronaca mi ha fatto risentire la tristezza, il dolore che trasuda da certe pagine della biografia di Milkowski: quel concerto di Milano, con Jaco ormai assente, polizia in assetto antisommossa, pubblico inferocito…

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