Raymond Carver sul divano – notarelle sul mistero buffo della scrittura

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Mi sembrava di essere sveglio da un’infinità di tempo.

C’era questa luce incredibile che travasava dappertutto, stanze, vicoli, cantine, sottoscala, sottoboschi, soffitte, persino sotto la macchina c’era un’enorme pozza di luce, persino in mezzo alle mie gambe.

Ma quel che è peggio, era talmente forte sta luce che non si riusciva nemmeno più a distinguere i Times New Roman delle mie storie eternamente incompiute. Roba da uscire pazzi, e da restarci.

Io, poi, all’angolo di una strada, con tre paia di Ray Ban uno sull’altro sul naso, che chiedevo a un vigile: ma scusi quando si va a dormire in questo cazzo di posto che comincio a essere stanco morto?

Poi mi sono svegliato, c’era il sole delle due di pomeriggio che mi schiaffeggiava allegramente e ho capito.

Niente di grave, posso ricominciare tranquillamente a preoccuparmi dei miei traffici diurni, della Titty che non me la dà perché sono Buddista e si sa, il Budda era un tantinello misogino, ci aveva in mente solo gli affari suoi e non si sarebbe mai sposato in chiesa perché non sopportava l’imposizione istituzionale cattolica del senso di colpa.

Vabbè mi alzo, faccio presto giacchè non ho niente da fare e quindi è inutile che aspetti.

Mi volto verso il divano e, …e…, nulla.

Non succede proprio nulla. Tranquillo, respiro, mi gratto solo un po’ la sommità del cranio. Che vi credete, mica si può trasecolare ogni due minuti, troppa fatica, e poi, approfondisce le rughe, le delimita, le esalta.

Eppure, seduto lì che fuma tranquillamente c’è Raymond Carver.

Ehilà!” Mi fa.

Ce ne abbiamo messo di tempo, guy.”

Eh……” Dico io per prenderne altro, me ne servirebbe un bel po’ in effetti, di tempo, per capacitarmi.

Tu guarda se mi si deve prendere per il culo di mattina presto, con tutto quello che ho passato stanotte.

Scusa”, dico.

Ma come cazzo hai fatto a entrare?”

Cerco di fare il duro, con Raymond funziona, almeno credo, ma mica lo so in che senso.

E tu come hai fatto a uscire? Dal coma intendo…guardati, hai una specie di negozio di borse sotto gli occhi.”

Replica lui mentre si accende una sigaretta, una delle mie Lucky Strike, bastardissimo Carver, l’ultima del pacchetto.

Senti scusa, non ho voglia di discutere a vuoto. E’ vero che non ho niente da fare, ma magari potrei rimettermi a scrivere qualcosa, no?”

Intendi, cioè?? E tu ti sollevi come uno zombi alle due di pomeriggio per scrivere? Santo cielo, come diceva Seneca? I giovani…uah uah uah!”

Cribbio, già che me lo trovo qui a casa mia non si sa come, e poi ride che pare Gambadilegno.

Però è Carver, cazzo, e quando mi ricapita una storia del genere…

Dunque Ray, avrai voglia di bere qualcosa immagino…com’era quel tuo racconto? Di Cosa Parliamo Quando Parliamo d’Amore? Fantastico, davvero. E quell’altro? Da Dove Sto Chiamando…Eh eh…te ne sei bevuta di benzina tu. Bè sei cascato male. Due settimane che non faccio la spesa, se vuoi ti sciolgo un Aulin in mezzo bicchiere d’acqua.”

Lascia stare ragazzo. M’hai chiamato tu, no? E allora, che ti serve?”

L’ho chiamato io…?

Provo ad alzarmi in piedi, faccio due passi in giù e due in su, faccio la mossa di rimettere un po’ a posto i fasci di carte sul tavolo.

Poi giro su me stesso, lo guardo di sguardo cazzuto, due fessure classiche, almeno spero di aver capito bene come si fa.

Comunque ha ragione.

Sono due settimane che non leggo altro.

Carver qui e Carver lì, poesie e racconti e articoli e blablabla con amici.

Non se ne può più, e allora tanto vale. Adesso lo molesto un po’.

Bene Carver, visto che sei apparso come la Madonna, adesso mi devi spiegare come caspita fai a scrivere come scrivi, dato che da quando t’ho acchiappato in libreria non riesco a leggere altro e non mi viene più di scrivere nulla. Mi fai sentire una sega tirata da Marzullo in camerino, poco prima di collegarsi”.

Mica facile, sai. Bisogna vivere senza pensare, come fanno i grandi uomini. Poi pensare senza vivere, come fanno i grandi segaioli.”

Mmmmmmm…puoi spiegarti un attimino meglio?”

Sarebbe che per scrivere è altrettanto impostante riuscire a separarsi dalla penna, girare, vedere gente, dare e ricevere schiaffi, andare a pescare, al bar, a donne, in paradiso e in malora, senza resti.

Poi saper chiudere, mettere tutto sotto vuoto spinto e isolarsi.

Io a volte mi metto sulla macchina da scrivere alle sei del mattino, e finchè non ho finito non se ne parla di alzarsi. Le uniche passeggiate me le faccio tra lì e il frigo per andarmi a prendere da bere, nemmeno al gabinetto, you know what I mean?”
I know Ray, ma se qualcuno suona alla porta?”

Fanculo la porta amico, stacca tutto, pure il cervello!”

Ma io ho una certa maniera di scrivere, utilizzo sintesi poetiche, mi nutro di flash e se non mi viene il flash…”

Suonano alla porta.

Lascio Ray sul divano e vado a vedere.

Ecco, ci mancava il testimone di Genova.

Gli dico che ci ho gli spiriti in casa e sono perduto, troppo inutile e spallato per essere redento. Inoltre sono anche contagioso, in grado di tatuare il 666 sulla sua delicata fronte di antitrasfusore settario.

Sorrido customer-oriented e aggiungo che se non se ne torna di corsa in Liguria gli faccio seduta stante una trasfusione di sveglie tale che poi è buono solo per espatriare in Svizzera.

Chiudo, mi gratto le balle come farebbe Chinaski e torno da Carver.

Uah, uah, uah…” Mi smoccola ancora in faccia lui.

La sintesi poetica…ma non diciamo cazzate. Il lettore lo devi rispettare. Che ne sa lui poveraccio di cosa ti frulla a te nel cervello sintetico?

Chiaro e conciso, così si fa. Ci vuole rispetto.

E niente ripetizioni inutili che mi fate rivoltare nella tomba a me poveraccio, maniaco della pulizia narrativa.

Tu e quelli di ScritturaTresca…no, come si chiama? Scritturamesta…Scritturabestia…”

Scritturafresca!” Correggo io.

Vabbè insomma. Una frase, una descrizione, devono comunicare un fatto numero una volta.

Un fatto possibilmente rilevante per definire un soggetto o la storia o l’atmosfera, ma solo se questa è fondamentale allo sviluppo narrativo. Poi basta, cribbio!”

Cioè, scusa?”

Hai presente roba che comincia tipo: Il sole filtrava dalla tapparella abbassata, la tapparella cigolava piano, piano ma non abbastanza…e le nuvole correvano in cielo, il cielo era striato di strane strisce, i bambini giocavano, c’era una crepa sul muro, lo spazzolino nel bicchiere, un’accidente che vi prende…dio che palle!

Un racconto deve catapultarti dentro, subito, al primo capoverso!”

E no cacchio, qua lo frego io.

Roba che ho sempre pensato, mi viene da pensare. Mentre cerco di ripassarmi mentalmente tutti i miei incipit per sbattergliene qualcuno sul grugno schifosamente cool, mi accorgo che è giunta l’ora di chiamare la Titty.

Insomma basta, io me ne vado, stammi bene e ricordati di caricare la sveglia.” Mi fa il cazzuto Carver.

Ehi no…Ray..Aspetta! Non te ne puoi andare così, non è che ho capito molto bene. E poi questa storia deve avere un finale…ahem…almeno me la pubblico su Scritturasiesta!”

Finale? Nulla di più convenzionale e inutile. Un finale telefonato, magari con la moralina spottesa tipo Pomeriggio 5, è roba da boy-scout!

Quando hai finito di dire quello che la storia voleva dire, stop, c’est finì, passo e chiudo, mica stiamo in qualche fottuta telenovela.

Comunque se hai letto tutto quello che ho scritto dovresti saperlo come la penso.”
Poi ha fatto Puf!

E il divano s’è svuotato.

E’ sparito…cazzo, nemmeno l’autografo!

Poi il telefono s’è messo a squillare con la voce acuta della Titty. Ho preso in mano la cornetta e lei m’ha strillato:

Non mi mettere le mani addosso finchè non ti sei fatto almeno la cresima!”

Ma non c’è più religione…” Ho provato a dirle io, in falsetto da nervoso che monta.
Poi mi sono svegliato di nuovo.

C’era Chuck Palaniuk che fumava tranquillamente, seduto sulla mia solita trappola di dormeuse.

29 risposte a “Raymond Carver sul divano – notarelle sul mistero buffo della scrittura

      • Qui c’è un bello spartiacque, in verità.
        Dal punto di vista del “contenuto” delle storie, posso essere anche vagamente d’accorso, i personaggi sembrano sempre lo stesso americano alcolista, perlopiù, sempre ai limiti dell’emarginazione, le storie idem.
        Se parliamo di “struttura” del narrato, allora i critici sono in profondo errore. Ray era un monaco della pulizia, della cancellazione di ogni virgola che non fosse necessaria.
        L’unico scrittore che io conosca che mentre lo leggi ti insegna a scrivere.

      • Silvia, dietro ogni scrittore c’è un Editor, mi sorpresi anche un po’ della sorpresa che fece l’uscita di Baricco qualche anno fa.

  1. Carver e….. bang: mi è venuta in mente questa…
    Ecco la poesia che volevo scrivere
    prima, ma non l’ho scritta
    perché ti ho sentita muoverti.
    Stavo ripensando
    a quella prima mattina a Zurigo.
    Quando ci siamo svegliati prima dell’alba.
    Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
    usciti sul balcone che dominava
    il fiume e la città vecchia.
    E siamo rimasti lì senza parlare.
    Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
    Così felici ed emozionati. Come se fossimo stati messi lì
    proprio in quel momento

  2. eh carver, ancora ho da capire se mi affascina o mi sta sul culo, che a volte inventa mirabilia altre va avanti piatto. Quanto a te hai un bel modo di diluire il brodo aggiungendoci dado e tutti gli aromi che trovi in cucina, dall’ironia (sf, spassosa!!) alla cultura, da tracce di vita spicciola a vette di pensiero. e il brodo diventa consommè (si scrive così?) ml

  3. “There was this incredible light that funneled everywhere, rooms, There was this incredible light that funneled everywhere, rooms, alleys, cellars, basements, Undergrowth, attics, even under the car there was a huge pool of light, even in the midst of my legs.”

    excellent post thank you for nice words on my blog

    • ahahah, thank you really, you are tickling my narcissism, it’s a dream of mine to be translated in english, I can’t do that and google translator is totally unable to front literature, it mostly generates comic effects 🙂
      see you

  4. il racconto è gradevole, ma resta un po’ inconcludente. intendo, innesca un loop onirico e dice quello che la storia voleva dire, però rimane un po’ divano.
    e dopo cosa resta?
    me lo domando spesso, quando smetto le parole (e faccio pulizia, eh eh). qui non lo so.

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