“Io sono ciò che vedo, non sono ciò che penso.
Scrivo del paesaggio che dentro di me cammina”.
-Franco Arminio-
“Papà, sei triste?”
“… Ma no, dai, perchè mi dici così?”
“Mi pareva che fossi triste, cammini con gli occhi tutti avanti…”
Mi accorgo che sto andando veloce tra la gente del marciapiede, forse lo sto tirando troppo per la mano.
“Vado troppo in fretta? Ok, rallentiamo, ma perchè invece ci vedi la tristezza?”
“Sembra come quando a scuola mi sgridano, mi viene una cosa agli occhi e io cerco di non guardare nessuno per un po’…”
Ho smesso da tempo di sorprendermi della capacità che Gabriele ha di catalizzare i gas dispersi della mia stella emotiva. Certe volte i bambini sono pura antenna, sono talmente connessi ai tuoi processi profondi che come niente ti rivelano istantaneamente la natura dei complicati pensieri che ti imballano.
“Ho capito, hai visto che mi si sono leggermente inumiditi gli occhi, dì la verità. Ma guarda che gli occhi si arrossano anche perchè ci va il vento e porta la polvere”.
“Si, ma però mi sa che non c’entra il vento”.
“E allora, visto che ti racconto quasi tutto delle cose che mi succedono, sai dirmi papà cos’ha che non va oggi? Perchè lo vedi triste?”
“Non lo so…ti viene una cosa sulla fronte…poi tanto, c’è qualcuna sempre che ti fa venire triste…”
Adesso si che un po’ sbalordito lo sono e non per il suo acume. Penso alle volte che gli ho raccontato stralci della mia vita, alle donne che avrò chiamato in causa per far questo, all’attenzione che ho sempre messo nel fabbricargli alla fine un biscottino di finale ottimista quando le storie narravano di un qualche me in terra smontato dalla furia degli eventi.
Chissà invece che diavolo di trama su di me lui può star architettando nel segreto dell’immaginazione. Certo che gli sarà forse totalmente rimbalzato quel tono vago di piacione che racconta i ferimenti come medaglie esistenziali, con l’arte di uno che ha imparato bene la professione infermieristica specializzata di se stesso.
In ogni caso ha sbagliato la trama, almeno, questa volta. Che nel frattempo in me ha fermentato la sua dannata freccia analitica.
“Gabri, le donne sono tutte importanti, anche quelle per cui hai pianto, non era questo, è che: ti ricordi che giorno era l’altro ieri?”
“La festa del Papà!”
“Esatto. Ti ricordi di quando ti raccontavo di nonno?”
“Si, nonno che non lo vediamo”.
“Nonno che non lo frequentiamo, ultimamente, si. Ecco, t’ho raccontato che non ci capivamo. Non abbiamo mai litigato, però, ti ricordi?”
“Si…”
“Bè, l’altro ieri al computer le mie amicizie scrivevano i pensieri per la festa del Papà, perchè si fa anche da grandi, lo sai? Scrivere i pensieri per il papà…”
“Si che lo so! Andiamo da nonno, allora?”
Peggio del commissario Colombo, puro understatement naturale che procede come una trivella.
La verità è che non vedo e non sento mio padre da sei anni, che ritengo m’abbia fatto un torto nemmeno da poco, e non abbiamo mai litigato in effetti, non ce l’ho con lui come non ce l’hai con un inetto, non si litiga con uno che ha attraversato la tua vita con la leggerezza di un fantasma, non ti viene proprio l’estro.
“Ecco la tristezza, Gabri, lo sai che sono emotivo e mi viene quello sguardo appannato”.
“Ma tu piangi, anche, a volte”.
Con Gabriele non ce l’ho fatta. Dal primo momento che mi pareva fosse in grado di sorbirsi senza allarme la confidenza, ho vuotato il sacco.
Ho un segreto che quasi nessuno conosce. Ho la lacrima facile, certe volte, peggio di un’inglesina timida che sfoglia Cime Tempestose. E la malinconia, poi, è un po’ la mia incresciosa, maledetta amante decadente.
Lasciamo stare, per fortuna ho senso del controllo e dell’umorismo e una pellaccia dura, ispida, da cui mi faccio soccorrere alla bisogna. Ogni tanto però, in momenti particolari, mi isolo e spacco la diga a mazzate di mia sponte, è un esercizio liberatorio per me, necessario come l’aria perchè il fuoco riprenda, rafforzato.
E allora, con la musica giusta che mi inietto in vena, sono capace di piangere fino ai singhiozzi per intere teorie di minuti.
E non mi prendo più per matto come capitava quand’ero pischello, ciò che mi succede oggi è semplicemente una lunga cavalcata emozionale tra gli abbandoni attraversati in questa vita, non vedo immagini specifiche, eppure sto piangendo quegli anni in cui la rabbia di Marica mi metteva fuori di casa minacciando di chiamare i Carabinieri, e Isabella mi lasciava via lettera da un viaggio in Senegal, o Maddalena che, benchè passati due anni di moratoria reciproca, mi chiudeva ancora il telefono in faccia in una cabina telefonica d’agosto che c’è da scappare per non finire molliccio e sciolto nel microonde dalla Telecom in un quartiere periferico disabitato come il corridoio d’uscita dall’Ade.
S’aggiungano tutta una serie di cazzi miei ulteriori che adesso non mi va di raccontare e che Gabriele più o meno conosce.
Fino a quel punto che non sa nemmeno lui in cui i dolori sparsi di una vita collassano, quand’ero più piccolo di lui, in quella sensazione gelata di puro sperdersi, solo da una parte in chiesa, dove non so perchè m’avevano lasciato non ricordo quanto tempo, tanto che una signora s’era avvicinata alla fine osservando i miei lucciconi e aveva dichiarato all’etere generico della casa di cristo: -Ma cosa fa questo bambino silenzioso da solo, cos’è si è perduto? E’ straniero?-
Credo sia stata la parola Straniero, nello specifico, a traumatizzarmi leggermente quella volta e per il resto del tempo.
“Ehi, straniero!”
Con un po’ di autoironia, Straniero è diventato uno dei giochi che facciamo e che a Gabriele piace da pazzi. Implica che lui possa scegliersi il ruolo che vuole, alieno, supereroe, agente segreto per cominciare un plot qualsiasi a braccio che viene drammatizzato lì sul posto dove siamo, in genere.
Il volto gli si illumina, come possono essere belli e intensi gli occhi di Gabriele lo sa solo la madre a cui l’ha letteralmente rubati, verdi, screziati, occhi che tramortiscono.
“Ascolta bene, straniero. Ti affido una missione segretissima, non ne devi parlare con nessuno, pena la caduta istantanea dell’uccello!”
“Ahahahahahah..eddaii!!”
“Devi andare a cercare tua madre e dirle che l’ho amata come nessun’altra. Devi farle capire la gigantesca cazzata che ha fatto a non darmi ascolto, capito bene?”.
“Io si, bene ho capito. Ma tu, invece, papà, quando la smetti di fare il cazzone??”
“Come come comee!?”
“Si, la smetti di fare il cazzone? Lo sai che con Margherita non ci facesti mai alcun bambino. Anche se è stata l’unica che ti fece venire quella strana voglia, non si potè fare, credo che te lo ricordi bene”.
“… …”
“E anche io, Gabriele, scusa, ma che stupidaggine che hai inventato…”
E’ vero.
Chiedo scusa a tutti.
La storia con mio padre è reale però, e anche la mia antica compagna Margherita, che girava con regolare porto d’occhi verdi, quando mi ferì con noncuranza una volta, mentre eravamo in piedi in mezzo a tutti gli altri impiegati standard semivivi, accanto a un semaforo lampeggiante dell’eterna roma trafficata.
Non so mai in effetti quali episodi possa tirarsi dietro quest’immondo teatro interiore.
E Gabriele non esiste, no, è il caso di finirla qui con le mascherate.
Esiste un bambino preciso senza tempo che mi porto dentro, in verità, e forse non fa una grande differenza, dopotutto. Anche che sia lui il responsabile delle lacrime e di tutto il resto, lui e quella maledetta panca della chiesa, e la parola Straniero.
E’ solo che, ho cercato di spiegarvelo, torno appena da una gigantesca chiavata con la mia amante malinconia.
Io posso volare
ma voglio le sue ali
io posso brillare
anche nell’oscurità
ma invidio la luce che emana felice nelle canzoni che canta
Il mio angelo Gabriel
Io posso amare
ma ho bisogno del suo cuore
io sono forte anche da sola
ma da lui non voglio mai separarmi
è stato qui da sempre
Il mio angelo Gabriel
Il mio angelo Gabriel
Benedetto il giorno che nascendo le ali degli angeli lo portarono da me
Paradisiaco
Io posso volare
ma voglio le sue ali
io posso brillare
anche nell’oscurità
ma invidio la luce che emana felice nelle canzoni che canta
Il mio angelo Gabriel
Il mio angelo Gabriel
Il mio angelo Gabriel
e allora non mi rimane che cantare 🙂
oh si! 🙂
My angel Gabriel è una stupenda canzone dei Lamb.
è meravigliosa mi rimarrà in testa tutto il giorno lo so! Buona giornata Alex
spettacolare. bravo. bravo. bravo.
mio padre e morto e mi gira ancora in testa tutto quello che non gli ho mai potuto dire. e piangi con lui, gabriele.
ma sai che io non saprei cosa dirgli, davvero. Nel senso che sono andato parecchio avanti. Parlare con l’intimo di me stesso, non riesco a immaginare nulla di parimenti utile.
grazie della partecipazione, scoglio 🙂
“Non so mai in effetti quali episodi possa tirarsi dietro quest’immondo teatro interiore”.
Non si sa mai in effetti, però qualsiasi siano gli episodi li descrivi sempre così bene.
Non vorrei rovinare il ricordo della gigantesca chiavata, ma credo che tu non sia l’unico amante della malinconia perché lei in realtà è una nota prostituta… 😉
scusa MARIA, tra l’ultimo post e questo di GABRIELE, non saprei perchè ma…provo una certo imbarazzo a parlar con te….:-D
e poi, è vero, la nota mignotta fa strage, ma non credo che al dunque faccia lacrimare così tutti i clenti…eheheh
Guarda, cerco di restare sul brano, ché, anche se è solo sesso, certe unioni sono perfette combinazioni di Geni&geni e danno figli di razza
quello che non ti perdono è la rivelazione sul finale, come cavolo ti viene in mente di spiegare, mentre qui già era cominciata una festa, pizzette e graffette, ognuno col proprio pargolo per mano
eccerto il tuo è un proprio un bambino americano, la scugnizza che mi abita è biafrana e al massimo canta “Fammi crescere i denti davanti (te-ne-prego-bambino-gesù)”
a che gioco giochiamo? ti avrei detto, eh
se vieni da me trovi un barlume di corrispondenza
giuro che non l’ho fatto apposta
Stai crescendo in ermetismo, ragazza mia, ‘un ciò capito sega, quasi, direbbero a Cecina. 🙂
E c’è un quesito che mi tormenterà stanotte: cerchi di restare nel brano…perchè altrimenti, ndo saresti andata? 😀
arivo, tra’n’po’.
Proprio l’altro giorno leggevo un bell’articolo sull’importanza di piangere. Secondo recenti studi, le lacrime contengono una sostanza ansiolitica che liberata dal nostro. In fondo la natura non fa niente a caso e se ci sono un motivo ci sarà. Io prima piangevo molto di più. Ora ho alzato un po’ i margini. E’ bello saper custodire il nostro bambino interiore anche quando parliamo con lui di cose dolorosa. E’ peggio ignorarlo. ciao
che poi in definitiva è anche più complicato, perchè il chico i suoi bravi maledetti trenta giorni se li fece pure prima di essere terminato dagli sporchi affari della vita.
come dice David Bowie: all I see is all I know (sons of the silent age)
baci
estasiato dalla tua raffica di presenze lucide, grazie, ha proprio ragione il duca. baci
sì, in effetti stavo per dirti che il bambino era poco credibile, dal punto di vista de profilo psicologico del personaggio. però i dialoghi (anche se un po’ legnosi) mi hanno messo subito di buon umore.
: )
qui non son d’accordo, a parte la battuta finale del “cazzone” che è volutamente “di rottura”, il bambino è coerente con un frugolo di 8/9 anni, e anche il parlato, ricalca il quotidiano, piuttosto che un “quotidiano letterario”.
Malinconia è una zoccola bisex che ci consuma tutti, you know.. tu almeno l’hai sublimata in un bel post. io devo ancora decidere cosa farne (in realtà vorrei solo prenderla/mi a schiaffi). ci mediterò. 😉
grazie tresor, per un masculo è anche peggio, in questa cazzo di cultura che se ti vede piangere ti dà minimo dell’eunuco.
non è vero. gli uomini che piangono sono…so sexy…