Vengo a prenderti una sera che fa un caldo, a dicembre, i sensi unici tutti girati intorno a casa tua e il Salone del Bingo atterrato come un pachiderma al centro della strada. E come facevo a saperlo, che nel frattempo è passata un’epoca tra me e te. Metti una serata così, che ormai è troppo tardi, ha già sparato il tappo. C’è solo questa leggerezza nel naso e tutte le bollicine che si consumano presto presto, stai sicuro.
Che senso ha, invece, come appari nella luce piccola del portone, con la testa chinata di troppi centimetri, e come ti avvicini saltellando sulle pozzanghere piene di rossa luce Bingo. Se guardi in basso vedi il riflesso di tutto e sembra che stai scappando da un incendio, un incendio Bingo, non sai mica quale porta di sicurezza stai per imboccare, se quella giusta o quella murata. Ridi tu, mentre chiudi l’ombrello che frulla le gocce e ti infili nel sedile e getti un bacio a sinistra alla cieca che mi si schiaccia sulla punta della testa perché sono ancora mezzo piegato, non ce l’ho fatta a ritirami in tempo.
Poi ci guardiamo, ci riguardiamo. Mica ti vedo bene io, invece sorridi e io parto, è facile, è un mucchio di giorni che non ci veniamo a prendere. E cadiamo giù sui cocci alle spalle, sul velluto, sui sedili, sulle nuvole illuminate in alto, sulla città tutta che sfavilla come un Titanic, noi fermi fermi a non allontanarci da tanto equilibrio e lei ci supera con grazia un po’ puttana. Ci sta dietro e davanti e di lato e sotto e sopra piena di strade che sfilano ai finestrini con gli addobbi e le nevi di plastica e i Babbinatale jingolanti e le luci strobo, le luci fuse, le stelle, la spia della benzina e il navigator che sfarfalla, scintille sui tram e flash di Selfie arrampicati sulle torri commerciali, poi tutte insieme le frecce di quelli che parcheggiano tagliandoti la strada ma sono tutti improvvisamente più buoni e vafangul’a’soret.
E’ natale trallallà, e come è andata questa vita, ti chiedo, bene grazie, e tutto questo tempo, lavoro lavoro lavoro, ah! Guarda. Che se fosse davvero vero tutto questo sudore e circostanze che almanacchiamo avrebbero dovuto già farci cavalieri della repubblica. Tiriamo indietro questa faccia bianca allora, noi siamo sempre stati speciali, come adesso in bilico su cose che devono accadere e non sappiamo bene nemmeno da qui a dieci minuti, senza futuro prossimo, c’è un buco li davanti e ci trema un po’ la voce.
E la fame che teniamo, tutta la vecchia buona fame degli anni arretrati, dove andiamo a mangiare, in effetti, che siamo già stati dappertutto in larghe storie che ci hanno consumato, che la città ora s’è fermata e sui finestrini da un bel po’ di tempo sempre lo stesso vigile che fischia e fischia e sbraccia come un povero cristo che tu guarda cosa gli doveva capitare proprio sotto natale. Non s’accorge lui che è tutto maledettamente fermo, che le macchine sgasano a vuoto come un Santaclaus che ha rubato troppa pasta e fagioli fredda dalla pentola in frigo. Non s’accorge che non passa nemmeno uno spillo, e nemmeno quella tua esitazione molle e gli occhi frullati in un istante quando dici: La Stanza di Alice.
Cos’è mai: la-stanza-d’alice. Tiro giù il finestrino che improvvisamente c’è troppo silenzio, che m’hai appena nominato un certo localino che non conosco e io ho visto che tu hai visto qualcun altro che non ero io sulla tua pupilla, fammi indovinare, Bingo!
Vigile senti: come si fa a raggiungere La Stanza d’Alice senza farsi del male e senza rodersi che c’è un passato invisibile di ulteriori possessi e confronti bugiardi, senza rimanere fermi come renne sfiatate in mezzo al traffico di Babbi a piazza San Giovanni, jingolbell jingolbell? Lui pareva seccato, io un paranoico in libera uscita. Te, ma proprio perché è natale, ti diamo della Paolina Borghese e non se ne parli più, che sto già in riserva e poche cartucce da istrione da sparare.
E gli amori veri non ritornano, oh no che non ritornano, ma non diciamo cazzate per favore, un cantante qualunque da una radio che nemmeno ricordavo di aver acceso, uno che chi lo sa come si chiama, un cantante italiano, uno col nome di un frutto, uno che fa assonanza con Bingo, che non è monsignor Milingo. Comunque, io non sposerò mai una coreana invasata e tu, non vuoi nemmeno sentir parlare di uno che canta e porta la croce. Risata breve, discorso chiuso, e lo spazio tra mille paraurti s’allarga per magia.
Ce la faccio a passare piano piano con la macchina che si stringe nelle spalle e noi appiattiti, vicini vicini, la frizione che sbraita ma siamo liberi finalmente, facciamo rotta sulla tangente del centro che il resto è tutto bloccato e son chilometri, bella mia, più cerchiamo uno spiraglio più ci allontaniamo e c’è passata pure la fame, oh ma ti rendi conto cosa vuol dire il natale?
Per questa strada buia buia, alla fine delle deviazioni, in aperta campagna, con le tombe dell’Appia antica che se la ridono di noi. Non si vede nemmeno più una casa intorno. Hai paura Cappuccetto? Non son domande da farsi a quest’ora in questo posto, che la macchina l’abbiamo fermata, vero, e siamo in mezzo al buio dei campi e tu da qualche parte lo devi aver buttato quel cestino della merenda, che si fotta la nonna, jingolbell, e il Mango è una sega di cantante, vuoi sapere? Non è nemmeno un frutto plausibile a queste latitudini d’inverno.
Gli amori ritornano eccome, dai retta a noi. Ritornano come numeri del Bingo proprio quella sera che ne hai bisogno, e spengono le voci e mangiano le frasi e hanno di queste mani di velluto che non comandi più, un poco blu, ma non t’importa del colore che fanno perché ti trema la pelle tutto intorno agli occhi e alle labbra e sulle gambe. E sai che faccio? Prendo le mani e m’incammino, avanzo, indietreggio, avanzo ancora un po’, finchè di mani non ce ne sono più, solo il tatto che si fonde con la linea della pelle e tutte quelle voci di gatto, di me e di te, a far cortile nelle orecchie.
Dove siamo adesso, siamo finiti in un fosso, oh si un fosso magnetico che si vedono le stelle e si sa mica chi davvero siamo, ora, e perché tutti questi sospiri e la densità di una gelatina. E guarda pure, la faccia della luna che è apparsa, poco oltre il parabrezza.
La vedi quella luna, la vedi?
Oh si!
Come dici? E’ la faccia di qualcuno? Ma no!
Ha la barba?
Ma si!
Non può essere Babbo Natale secondo te?
Ma no!
Allora ragioniamo. Deve essere un guardone, anima mia!
Hai presente quei profili d’elefante e di cavalletta e la forma dello stivale, quella di un maiale, oppure io che stupisco, io che mi ergo con la statura di un giustiziere per una serie di attimi in rapida corsa dietro quella strana faccia, e poi arrivederci a mai più, m’arrendo, chi s’è visto s’è visto. Cose che accadono come le nuvole. Cose buone, comunque, se no non si spiegherebbe cosa sono tutte queste risate che ci mancavano come vecchie zie emigrate in Australia.
Hai ragione come ai vecchi tempi, tu, e grazie per essermi venuto a riprendere lì fuori che faceva un freddo bestia e io bruco che correvo dietro un’ombra e tutte quelle macchine apparse improvvisamente in mezzo alla campagna, che deve essersi ingorgata pure la tangenziale, e i bambini, i bambini, quelli che abbiamo sempre escluso, quelli che ci guardano da fuori in dentro, quelli con gli occhi malamente sgranati, quelli da soli con le facce attonite schiacciate sul finestrino mentre padre e madre alla guida pieni di pacchetti infilati fin dentro le costole, col grugno migliore della festa discutono, discutono, l’hai visti? Come si danno gli zamponi sulla testa?
Siamo fortunati, bambina mia, io e te e lo zucchero filato e tutto questo tempo che ci sorvola. Vedi che non abbiamo per niente fretta, un sacco di storie da dirci e tutti quei segreti che non fanno più male, da raccontarci. Rialziamo i sedili, mettiamo le bocche distese e la musica e i vestiti, mettiamo tutto il tempo che ci vuole a far sgorgare la fila.
Ci siamo salvati o ci siamo persi, che Bingo ne sappiamo, ora.
Adesso qui satolli, ancora pregni di innominabili odori tra le dita, se ce lo chiedessero lo pagheremmo anche subito e volentieri quel conto. Tutti gli anni che passeranno ancora fino a un’ipotetica altra mattina che ci rivedremo di passaggio in qualche grosso supermercato, hai cambiato casa, ho cambiato casa, ma tu guarda la vita, che cazzo. E poi via di corsa, ognuno dietro il proprio carrello esigente, uccidendo quell’ultimo pensiero fraudolento di una notte di natale, del cantante Mango e del salone del Bingo, della luna così com’era apparsa sull’Appia antica a certe cariatidi di noi, poco oltre il parabrezza.
mio caro, tutto perfettamente armonioso, eccetto Mango. ma c’era d’aspettarselo, è una vera sega…
ma povero mango….dopotutto, ce n’è pure di peggio in giro, solo che qui dovevo autocitarmi, per via di un mango maturo che mi fu tirato e che mi mancò di poco, roba di cui parlo altrove 🙂
ma sai che a me delle scimmie bastarde mi tiravano addosso i semi, dopo averli mangiati?
c’è come un tempo circolare, che mica lo so perché non mi tolgo dalla testa che potrebbe essere un ricordo futuro, un germe di avvenire non ancora avvenuto. Come il guardone che stava, tal quale, in una drabble e non so chi sia venuto prima, la drabble o il racconto. Stranezze del ricevere. Anche mi fa pensare a una frase pubblicata da iraida oggi: “siamo una casualità carica di intenzione”. Anche quando è finita, anche quando vuoi che sia finita, sai, anche troppo confusamente, che non sarà mai finita.
Bello da portarselo a casa. 🙂
mi pare Bambini nel tempo di McEwan disquisisse di tempo circolare, di tornanti quantici, roba bellissima, così come funziona il tempo fuori delle ristrettezze dell’Io.
il drabble era un estratto di codesto. e grazie
Bellissimo, bellissimo davvero. Sono senza parole ma ho sorriso con piacere. (ma tu che fai allora? Passi a bere qualcosa? ;-))
la vedo difficile, però non si sa mai, dicono sempre i sagittari 🙂
Suvvia! I sagittari amano l’avventura. Ti aspettiamo!
Tu continui a stupirmi!
Fortemente!
No. Non è l’ora inconsueta nel mio passaggio nel tuo blog che mi provoca questa mia reazione!
Ritorno comunque!
Bello! Molto bello!
Di più!
gb
grazie gelso, io che son fondamentalista mattiniero apprezzo doppiamente 🙂
lo sai che tornare a leggerti dopo un mese circa di assenza dalla vita bloggheresca è davvero una bella sensazione?
un amore finito è pur sempre un amore. è una frase che non ricordo più dove possa aver letto, però mi è rimasta tatuata. poco importa, in realtà. il fatto che questo bellissimo post me l’abbia fatta tornare in mente è ben più importante. 🙂
assenza giustificata? 🙂
nessuno è più abile di me nel costruire logiche giustificazioni. 😉
ho ricominciato a leggerti da qui, perché? per il titolo. un ex è per sempre, se è amore, è donarsi, allora è per sempre. letto e riletto e non ho trovato una virgola che avrei cambiato se fosse stato mio. mi specchio 😉
già, e se lìamore è per sempre, forse dovremmo abituarci a vivere nella “vecchia” comune, come i figli dei fiori.. 🙂
eh già! ( e chi ti dice che io non lo faccia 🙂 )
Ho riletto tutto!
Bello, proprio bello!
Si dice, anche a se stessi, che è finito un amore, ma, in realtà, si sente che non è finito per nulla!
Emozione strana e profonda!
Buona domenica!
gb
grazie cara, buon sole a te!
grazie sempre a te! buon sole! mi piace!:-)
Mi son commossa, è che quando si entra nei tuoi racconti vorresti non finissero mai.
🙂
troppo buona, milady 🙂
Non riesco ad essere costante in niente ultimamente, diciassette libri sul comodino, argomenti diversi. È che giro, mi perdo, vago nel vuoto da cui vengo a cui tendo, vago nei miei malumori e mi dispiace tutta questa incostanza perché ci sono cose e persone e luoghi che andrebbero tenuti negli occhi più spesso, parole/echi a cui tornare. Ti ritrovo aeroplanino, cacciatore di stelle e di parole. Come sempre tu, magnifico.
Come ti capisco Emily, pensa che ho scoperto un magico mercatino delle robe usate che ha un gran giro di libri recenti a due euro, ho fatto le incursioni con lo zaino e adesso devo andare da Ikea per l’ennesima libreria 🙂 ma più di qualche pagina ognuno non riesco a concentrarmi… poi sai, è il lavoro dipendente che ci fa girare a vuoto, da un certo punto della vita in poi, creando quella semistanchezza che non ci abbandona mai in niente. Non ringrazierò mai abbastanza tutti gli anni “insensati” in cui qualcosa nella confusione continuava a sognare la libertà, perchè sono quelli che ci sono voluti per svegliarsi ora la mattina con qualche respiro in più. Ti abbraccio
Ti abbraccio Ale