Ciò che è stato dell’amore, quasi sempre, ci sparpaglia la mente in tessere e le nasconde sotto i tappeti delle frasi fatte, degli invisibili non-detti, trasmuta ciò che fu sangue in attitudine allo sbilanciamento vuoto, qualche volta si riduce persino a gas intestinale in eccesso.
Se ti servisse sapere, sappi che altro non si può dire da:
– Sotto il tavolo del tuo amore le formiche di giugno si contendono le briciole. –
Spuntava una piccola bolla di saliva all’angolo del labbro, però, la tua parola era umida, primitiva, ed era trentanni dietro questo cono d’ombra che ci protegge.
Era un modo lento di girare la mano in su, per sottolineare le parole. A vederti nuda, nell’impulso cinetico di grossi seni dalla punta larga e scura, ciò che ci apparteneva aveva l’aspetto di una carta trasparente in balia del primo acquazzone che si fosse avvicinato. A posteriori si può urlare, sappiatelo, senza fare inutile vento.
Eppure, bisogna andarsene spesso da questa vita con quella precisa attitudine al dolore.
Che si sa, le palpitazioni attirano le farfalle, le farfalle finiscono nella pancia, insieme alla vergogna delle piccole perdite e dei pruriti vaginali, è solo un miracolo che ci salva dalla potenza devastante delle vetrine del mondo. Credi in una quantità di stupidaggini pari solo a quando ti allontani da me senza sapere chi tu sia, o la tua voglia, e se la voglia non è altro che bisogno, un soggetto che si perde nel sottoscala del laboratorio di Maslow.
Come gente che attraverso gli anni non discute se tutto questo apparire sia presenza o assenza, le palpitazioni rimangono, uccise in un mondo distante, e non c’è visione possibile di questo disumano ridursi estremo a bolla di gas incandescente.
E tu piantata lì in mezzo, hai mai saputo il gesto, il primo che commisi, appena varcata la soglia di casa tua?
Ciò che era tuo si stringeva in un pugno di cifre che ci separavano, quello che sembrava un nudo insolito dal profilo ormonale nucleare, niente seno, il culo di venere e chitarra, e intimamente come se un uomo furioso fosse stato calato da madre natura dentro una donna abbandonata mille volte, la gelosia di caverna, la pistola fumante sulle labbra, tutto il tempo.
Altre che sono state una semplice pagliacciata di te. Adesso che comincia a piacermi persino il gesto di ladro con cui candidamente le illudevo, che la cosa va detta brutale così, considerando l’inattitudine femminile media a considerare l’innocenza come tesi a discarico, nell’uomo.
Qualcuna visse a Honolulu, baby.
E c’è un cazzo da ridere, perdonate il -camembert- (come si dice quella parola francese calem…boh). Francesca partì per le Hawaii dopo tre giorni che avevamo fatto tana, ripetutamente e con sollazzo. Partì con la morte nel cuore, lei, per dimostrarsi indipendente da me, e perchè aveva già il biglietto pronto, erano mesi che si tormentava la casella mail co sto americano hawaiano del menga. Io lasciai fare perchè lei mi sembrò disperata, soprattutto al ritorno, quando nei suoi occhi tracimava un lago di zucchero riparativo sul mio bastoncino che, lei non sapeva, ma non aveva alcun desiderio d’esser filato così freudianamente. Uno zero che si trascinò oltre l’anno.
Per altre fu semplice mettersi a odiare, il dispiacere lega più del piacere, e questa è un’altra verità della femmina media.
Ma io non lo sapevo, non sapevo nulla di umano così come loro. Eppure loro odiano, per istanti che come niente divengono una vita.
Ci siamo fatti a pezzi con amore, amate mie. Questo è, riconoscetemi adesso, fate atto di contrizione al mondo, eravamo tutti lì seminati dall’alto, eravamo stati scelti senza saperlo, senza nemmeno essere consultati prima.
Finchè un giorno non m’è sfuggito un -ti amo-, non era la prima volta ma invece si, è successo che non son morto come m’era sempre capitato fino al dì.
Sarà che ce l’ho fatta ancora ad alzare gli occhi dopo venticinque anni perchè sapevo che ti avrei trovata lì, addormentata come ogni gioia nei carri, sotto la coltre di fantasmi doloranti con cui abbiamo inutilmente viaggiato fino a questo crocicchio casuale della pista.
Bastava girasi.
Vedere i quattro lati del Mandàla che chiudono in oggi. Ed è verde, a pranzo. Mangi il primo primo, quasi niente del secondo e una buona metà del terzo. Ti dici banalmente che aspetti da sempre questa sera. Da sempre credimi.
Ogni cosa si ricongiunge in te.
Il conto, por favor.
Uuuuhhhh! Che mestiere difficile è amare.
già Sandrina, son robe queste come i gereoglifici, ci metti una vita a decifrare i pesi e le misure 🙂
riesci a esplorare le emozioni in un modo che incanta, anche quando il dolore striscia sottopelle scavando gallerie sotterranee
E’ un dono la tua scrittura….
grazie di cuore Pan, so che sei sensibile al tema, è un piacere risentirti
immenso piacere mio di leggerti
Sono addormentata come ogni gioia nei carri. Che si fa malinconia, al tramonto.
non è poco, sai, vuol dire avere il mondo in tasca laggiù, da qualche parte che ci arrivi per forza, se non stai lì a controllare l’ora ogni momento, c’è chi s’è perso/persa nella corsa dei pionieri, molti nemmeno cantano più intorno ai fuochi, la malinconia è un bastone che dovremmo ringraziare, per quanto bene ci sorregge, lisa 🙂
Faccio sempre fatica a capire quando parli d’amore, l’astrazione in amore non è sempre cosa semplice ma, personalmente, preferisco chi si fa capire anche parlando in astratto.
Sembra la tua,più un’elaborazione di ciò che è stato, di quello che nel frattempo c’è stato. Non so, forse ti leggo da poco. Le donne, e non le femmine, come tu le chiami, non sono tutte uguali, così come non credo che gli uomini, e non i maschi, lo siano, tutti uguali.Ci sono ritualità, luoghi comuni, ovvietà che si ripetono se uno tende a uniformare, schedare, archiviare nella sua mente. Forse succede a chi ha avuto troppe esperienze?
Poi, un giorno, ti è sfuggito un ti amo e apriti cielo!
Capisco che la chiarezza può diventare pericolosa, ma quanto è bello poterlo essere!
Magari non ho capito nulla ma ho delle attenuanti
;-
ciao Anna
grazie anna, davvero, era tanto tempo che non arrivava una “critica” quaggiù. non ho obiezioni da muovere ai tuoi punti, potrei pensarla così anch’io su una quantità di letteratura bassa o alta in cui siamo immersi. se uno si mette in testa di scrivere, fondamentalmente, deve usare la struttura della Deformazione, per forza, non ci sono alternative. ovvio che il racconto in chiaro così come i diari soddisfano certe pulsioni medie, ma in ogni caso sono opera della Deformazione costruttiva e a me non interessano tanto come moduli in questo momento. Infine, a vivere un po’ capisci che le scelte fanno le persone, uomini e donne, lungi dall’essere frutto di libere scelte, mostrano spesso una scarsità di schemi originali che invita alla semplice classificazione delle nevrosi relative riscontrate.
L’ho letto prima delle tue aggiunte ma, fatico comunque
🙂
allora vuol dire che le “aggiunte” erano buone, ma ne ho scritti di diari, anna, se continui a seguire qualche altro giorno sarai più fortunata 😀
Sai perchè faccio fatica? perchè tu usi un linguaggio che è solo tuo.
Mi spiego meglio, se ad esmpio ti dovessi raccontare in astratto dell’amore lo farei anch’io a modo ma proverei (non è detto che sarei in grado di farlo) di usare un linguaggio, un modo di scrivere comprensibile per ci mi legge.
Ci provo:
Ciò che è stato dell’amore, quasi sempre, è frutto di ricordi confusi che tendiamo a idealizzare soffocando ciò che di buono c’è stato in ciò che ci sarebbe piaciuto accadesse. Dimentichiamo che ciò che ci ha unito e attratto è stato l’odore di buono che i nostri sensi percepivano, che ci facevano sentire uno anche se ci contavamo due. Ora i nostri sensi percepiscono nettamente gli odori diseguali.
Ora è chiaro che se ti leggo è perchè qualcosa nella tua scrittura mi piace, volevo solo spiegarti cosa io intendo per chiarezza.
Ma chiara poi lo sono stata?
sei stata chiarissima anna, pensavo di averti dato una risposta, prima.
ho l’impressione che confondi il piano “reale” degli accadimenti con ciò che testimonia la scrittura, che è un piano di realtà differente, deformato. e forse ti sembra un paradosso, ma la tua considerazione sul “linguaggio solo mio” mi fa piuttosto piacere, invece.
e io? son riuscito a spiegarmi un po’?
Penso di sì, Allora diciamo che la tua realtà la trascodifichi nel linguaggio che è solo tuo.
Ok?
boh, senza farne sanscrito però, eh? tanto per non offendere chi commenta da una prospettiva diversa 🙂
ma mi sta benissimo anche non esser d’accordo, anna cara, ognuno conosce il proprio vero filo conduttore, no?
Credo che un sano diaccordo non faccia male
ciao
Anna
Sembra di stare a osservarti (di nascosto, casualmente), mentre parli allo specchio. E ti racconti, in questo si fa il mischiare l’avanti, l’indietro e l’adesso, la tua personale voce tra te e il tuo io, che gli altri ascoltino pure, nessuno può distoglierti dal tuo ragionamento, il tuo percorso. Ed è forza.
Il linguaggio è decisamente solo tuo, Alex.
Tu sai incastrare, nello scrivere, senza preoccuparti, naturalmente e giustamente, della “realtà temporale” di questi tempi”, il fututo, il passato, il presente.
Ne nasce un discorso non facile da seguire, da leggere e rileggere, ma affascinante, trascinante.
E sento fluttuare il dolore e odoro la malinconia nel tuo scritto.
“Bastava girasi.”
“Amare”… ci metti una vita per cercare di interpretare i percorsi e una vita non basta.
Perfetta la chiusa.
gelsa notturna
sti paesaggi andrebbero tutelati, aggiungendo un comma all’art.142 del codice, tipo: “sono altresì bellezze naturali tutte le verità d’amore”
gulp … 🙂