Pantelleria Rei – il tuo bacio si prolunga come l’urto impossibile delle stelle

“La nostra vita è impossibile, assurdità.

Ogni cosa che noi vogliamo è contraddittoria con le condizioni o le conseguenze relative;

ogni affermazione che noi pronunciamo implica l’affermazione contraria;

tutti i nostri sentimenti sono confusi con il loro contrario.”

-Simone Weil-

“La stella vive quindi sospesa tra due estremi: da un lato vi è collasso gravitazionale, dall’altro la fusione termonucleare e la pressione verso l’esterno.

[…] Le stelle sono degli incandescenti calderoni di trasformazione. Sono il ventre di una creatività immensa. […]

Come possiamo ritrovare noi stessi in forze che sono al tempo stesso seducenti e spaventose? Come facciamo a vivere in mezzo a una instabilità scintillante?”.

-B.Swimme, M.E. Tucker, IL Viaggio dell’Universo

“Come lo spazio che all’improvviso s’incendia, etere propagante dove la distruzione dei mondi è un unico cuore che totalmente s’infiamma.”

-Vicente Aleixandre-

DSCN0897xPantelleria Rei.

Una gigantesca vela di pietra nella bolina vertiginosa del tempo; quarantamila anni geologici lei e intorno la vecchiaia della Terra, l’infinito delle stelle. Tutta la piattaforma emersa dal folto di bocche atteggiate del dio Vulcano fa oggi figura come un battito di ciglia appena domato, se posto a confronto con la maestà delle ere che la incoronano.

A nord-ovest del corpo isolano, chilometri di roccia fusa, rossa e nera, hanno assunto statura solida nell’ancora più misero abbrivio di diecimila anni. Tempi di caverne, di fuoco appena catturato, di ossidiana che portava la morte in punta di freccia, il gioco sociale collettivo si dipanava, i primi egizi già sognavano di esplodere al mondo con le piramidi, quaggiù la natura ancora dava furiosamente le carte.

Pensate tutte le retoriche mediterranee possibili, l’antica Cossira ne suggerisce ancora di impensabili. Prendete un volo a metà settembre, siete ancora in tempo, imbarcatevi sentendovi come quando non sapreste, con quella malinconia speciale dell’estate che vi abbandona aggrappata a una spalla. Poco prima di toccare pista, al centro del mare, da qualche angolo sottomesso di voi, inattesa, la poesia vi aggredirà.

“Amare è qualcosa di inevitabile o semplicemente un modo di essere: la coscienza”

-V.A.-

aleixandre

Vicente Aleixandre era nascosto quaggiù, lo scoprite dopo qualche ora, tra i ricordi che non ricordavate più, cose come un libello Newton-Compton da svendita in una vecchia libreria a monte degli anni, quando si bruciava tutti le prime arie d’esistenza. Lui che nel ’27 spagnolo ardeva di passione edificando la colonna del dubbio, e teneva insieme con l’immaginazione sensibile gli opposti dinamici dell’universo, in uno sforzo immane di testimonianza viva. Vicente che fu mandato in pensione con un Nobel nel ’77; montava l’ansia della dimenticanza, il tempo preparava le cerimonie di polvere e le eseguiva al buio delle nostre spalle. Oggi non sono molti coloro che lo richiamano, a rileggerlo potrebbe far figura di cosa usata, passata di moda, così come la poesia dovrebbe sempre apparire, in realtà, alla fonte delle molte nudità incresciose, prima che lo stile e la cognizione la rivestano per esporla nelle botteghe di luce fioca delle arti periferiche.

Pantelleria vi accoglie con un cesto di regali, in realtà, se siete all’erta, in una permanente sfacciata che espone le vite pietrificate della lava su gigantesche tele sghembre. Una mostra di cieli aperti in cui perdere la vanità del proprio respiro, nel rumore del vento che accompagna ogni cosa, in cui è facile cogliere le metafore portanti della vostra statura fusa con le dinamiche del mondo, il fuoco di Agni(1)che copula a mare, le esplosioni disordinate del piacere di Gea, le colonne di vapore mefitico che danno l’assalto ai paradisi celesti, subito dopo. Dimenticatevi perciò la plebea pacificazione delle spiagge. O se avete infinita pazienza e il vizio dell’immortalità, lasciate fare al lavorio del vento, alla saggezza levigante delle onde, ripassate lieti tra qualche altra decina di migliaia d’anni.

“La notte è infida e a volte nasconde un pugnale silenzioso”

-V.A.-

«Topograficamente Pantelleria presentava ostacoli quasi spaventosi per un assalto. Molti dei nostri comandanti erano decisamente contrari all’operazione perchè un fallimento avrebbe avuto un effetto scoraggiante sul morale delle truppe.» Cosi scriveva Eisenhower nel suo libro Crociata in Europa.

Fu una sorta di beffa dell’immaginazione che tolse agli americani le castagne dal fuoco pantesco. Munitissime difese del fascio italico avevano scelto l’isola come unico punto di resistenza a sud del nostro misero scacchiere di guerra; nascoste in profondità nei diversi generosi uteri naturali dell’isola, le armi, gli aerei, l’acqua, le vettovaglie sufficienti per trascorrere settimane intere sotto una pioggia di bombe da ultimo giorno.

DSCN1150xSi narra che fu il carattere isterico, raccogliticcio, degli ufficiali del fascio a mandare a monte un capolavoro difensivo naturale. Avessero lasciato fare al nervo incrollabile dell’isola, avremmo almeno oggi da raccontare un lato intelligente della disfatta. L’homo italicus spiantato, piuttosto, cedette di schianto alzando bandiera bianca alle prime ore di fuoco impressionante che fiammeggiava dalle corazzate yankee, non potendo mai verificare come gli americani avessero piuttosto deciso di utilizzare le scarse munizioni che rimanevano in zona tutte insieme, nel giro di pochi infernali frames panteschi. Ci sarebbe stato tempo e modo, allora, per una sortita da antologia.

Ancora oggi l’isola si diverte in quell’aria ambigua di tagliola insidiosa, riservando la minaccia della propria verticalità assassina al flusso moderato dei turisti che la percorre goffamente.

Così, scendere a mare somiglia vagamente all’esercizio di un equilibrista brillato di passito, i piedi si barcamenano su vecchie aguzze creste di lapilli solidificati nello slancio plastico, e al corpo umano che inciampa vien paura non tanto delle relative contusioni, quanto piuttosto di venir accoltellato nelle fragili carni, accoltellato dolcemente dalle nere unghie sguainate della dea Cossira.

“Sulle tue labbra un bacio come una lenta spina o un mare che volò mutato in specchio, come il brillio d’un’ala, è ancora mani, è ancora crepitio di capelli, fruscio vendicatore della luce, luce o spada mortale sul mio collo minaccia, ma non potrà distruggere l’unità di questo mondo.

-V.A.-

Dunque l’isola attira e respinge nello stesso amorevole gesto, come certi neonati impertinenti ti instupidisce di tenerezza e poi ti spernacchia e ti sputa in faccia il suo vago malessere igneo. Con lo schiaffo delle onde strozzate abbatte la spocchia degli architetti milanesi arrampicati nel punto più impervio, con i fanghi mobili del turchese lago di Venere risucchia e fa inciampare intere legioni di fiduciose carampane che sognavano di tornar giovani nelle generose pieghe del fango curativo.

E in superficie, ogni cosa appare piegata dal vento, un vento antico, testardo, che non smette, una spinta primaria inesausta che costringe gli aranci e i limoni a crescere in giardini recintati come in stanze Borgesiane a cielo aperto, tra muri di pietra lavica alti fino a due metri; poi, sugli infiniti terrazzamenti scoscesi, costringe le piante a subire una potatura bassa, quasi rasoterra, che fa somigliare i tralci di Zibibbo e i rami dell’ulivo a battaglioni di Marine che avanzano strisciando impavidi tra i tralci dei capperi e fin dentro le carreggiate delle strade.DSCN0913x

E sempre il vento, la roccia, lo spigolo, l’esclusiva furia primaria d’esistere, trova sponda perfetta nelle nomenclature geografiche. Le località si chiamano: Gadir, Mueggen, Khamma, Kattibuale, Kazzen, persino.

A Kazzen ci siamo fermati per una foto e una risata dozzinale, un vecchio è passato lì vicino maledicendoci, forse, o forse ancora era solo il riflesso della nostra paranoia di ospiti infiltrati, al passo coi tempi, nudi come ci siamo spesso sentiti al cospetto dell’isola, dei suoi panorami definitivi, del fumo delle sue leggende.

Così gli isolani, gente che t’accorgi da certi silenzi di parole mancanti in replica ai tuoi paralleli quanto non ami particolarmente essere accostata al resto della sicilianità. Gente di scorza ruvida, con anima di ossidiana, asciutta e drastica, come il NO secco echeggiato in un vecchio alimentari dai prodotti improbabili alla richiesta se per caso avessero del semplice pane. O come il gesto irrevocabile successivo con cui ti viene prima proposta e poi negata l’apertura di un coscio nuovo, te ne devi andare, comunque lieto, con due etti di gambuccio scuro sottobraccio, al costo del culatello……

 

*** continua (paesaggi, spot Hindu, ricetta del cous-cous pantesco) qui:

http://wordsocialforum.com/2013/09/11/pantelleria-rei-il-tuo-bacio-si-prolunga-come-l-urto-impossibile-delle-stelle-fuori-menu-9/#comment-7386

14 risposte a “Pantelleria Rei – il tuo bacio si prolunga come l’urto impossibile delle stelle

      • fatto…
        ed è stato il colpo di grazia. accidenti a te, leggere le tue pagine mi ha riacutizzato la sindrome dell’emigrante… 🙂
        parte gli scherzi, non hai idea quanto mi manca quella parte di mediterraneo 😦

    • mentre il padrone del dammuso ci riportava in aeroporto, a noi che sragionavamo di trovare un piccolo rudere da riedificare in loco, lui disse, più o meno: ma chi ve lo fa fare…è più intelligente e molto meno costoso venire qui tutti gli anni per le prossime tre vite.
      in effetti, con 200E di volo sei al centro di tutto 🙂

  1. eh beh certo! a lui conviene che tu continui ad affittare il suo dammuso! sono una spietata donna d’affari 🙂
    in realtà a me l’idea di comprare una casa in un ‘isola non mi ha mai convinto, mi intimorisce l’idea di legarmi ad un posto, con tutte le isole che ci sono da vedere….

  2. Che meraviglia! Io sono che cerco di comprare un tetto a Stromboli ma resta un sogno, intanto continuo tutte le volte ad affittare la stessa casa che ormai la sento mia. Ma non lo è! Compralo il dammuso dammi retta!!

  3. “scendere a mare somiglia vagamente all’esercizio di un equilibrista brillato di passito”
    mi piace troppo leggerti, Alex!
    “un vento antico, testardo, che non smette, una spinta primaria inesausta…”
    quel vento mi manca, Alex!
    io mi sento viva in quel vento!

    ho colto tutto, proprio tutto.
    sorriso
    gelsa

  4. “La tua fronte sfavillante, carbone acceso che mi strappa alla stessa coscienza,
    duello sfolgorante in cui di colpo provo la tentazione di morire,
    di bruciarmi le labbra con il tuo contatto indelebile,
    di sentirmi la carne disfarsi contro il tuo diamante rovente”
    .

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