The Oman diaries (I) – patologia di un ritorno a casa

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-La versione estesa e revisionata di questo brano esce domani, due ottobre, su WSF blog wordsocialforum.wordpress.com

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Frullo queste immagini direttamente nella blogttiglia. Per terra ho le conseguenze endemiche della mia incapacità di ordinare le cose. Carte, bollette, magliette, bottiglie, scarpe, chiavi di casa, chiavi inglesi, dizionari, post-it, biglietti da visita, buste, bustine, libri che non leggo più da tre anni. Non so se avete presente come possano guardarvi col pieno di sarcasmo le scarpe vecchie che non buttate, da sotto una mensola bassa, quando la dura militanza le arriccia beffardamente in punta.

Le procedure di ripristino mi circondano con il taglio della loro malevola necessità, una casa presentabile, il sanatorio dei bizantinismi sadici delle burocrazie fiscali, qualche sospeso umano cui dare conto, il nuovo fronte aperto delle assemblee condominiali, una mente da registrare sul minimo decente per rientrare sottotraccia in mezzo a colleghi che vogliono sapere, alla maggioranza degli altri per cui sono un articolo detestabile, nel folto delle dinamiche idrocefale che sostengono i castelli di carte delle organizzazioni del lavoro, a casa italia.

Le hostess della Lufthansa sanno essere brutte, secche e sgradevoli come poche. A Francoforte sono uscito a fumare una sigaretta ed era già inverno, una luce e un vento da curvarsi l’anima in fretta per non intirizzire. Ce l’avevo su ancora testardamente con madre e figlia svizzere tedesche, gente danarosa che infila le sacche da golf oltre i tuoi zainetti nel tunnel radiografico dell’aeroporto di Muscat, gente che poi sgomita per passarti avanti a riprenderle senza alcuna necessità che quella di ostentare status.

Te ne vai verso l’imbarco passando sotto il grugno finto-allegro della signora svizzera, del suo marito che incula tutto il tempo un laptop nelle interminabili attese dei saloni delle partenze, un tizio distante con cui non scambierà una parola per tutto il volo su Frankfurt. Tagli in due quel sorriso scemo commentando in buon inglese la generica squisita educazione del popolo svizzero: lei accusa il colpo, risponde Sorry? E poi sbotta qualcosa che non t’interessa più, qualcosa sulla storia dei “soliti italiani”.

Penso che sto rincretinendo, Francoforte e Heathrow si contendono il guiness degli Hub europei più frequentati, trentatre centilitri di acqua tedesca costano due euro e cinquanta, tre giornate di paga del massacrante lavoro di un operaio indiano. Una atroce minchiata che non ammette alcuna scusante di giro economico e poi, non sei nemmeno arrivato a casa, cerca di stare un po’ tranquillo.

Si aprono infine le doors esterne del Leonardo da Vinci e trovi lei, confusa nel solito spiazzo inframondista che non si riesce a classificare, l’insidiosa bagascia romana, i suoi sgherri molesti del servizio auto NCC che come centurioni incattiviti fanno a gara per accaparrarsi fuori dalle regole le turiste più gravide di borsoni, mentre venti metri più in là i taxi fanno la fila e i guidatori masticano scazzi. Chiunque di loro provasse a fare una manovra analoga vedrebbe spuntare dal nulla un vigile in borghese e la bellezza di una nostrana multa da duemila euro.

Mi pare di sapere da sempre che la il culo secco, insoddisfatto, della signora svizzera abbia la sua quota di ragione, pure. Torno così, felice e frastornato, al casino intimo del mio superattichetto che somma al tutto il delirio di uno zaino e due zainetti rovesciati, alle procedure di ripristino di una facciata sociale che mi interessa sempre meno. Ogni anno che rincaso dal mondo mi convinco sempre più che la vita ha abbandonato la vecchia zattera europea, rimane uno sbando di ricchezza ignorante, di falsa educazione, cui ogni poveraccio benestante o semi continua ad aggrapparsi con progressivo astio.

Torno da un paese giovane e rilassato, moderatamente benestante, una terra di roccia e poesia e mare turchese e infiniti spazi e tempi da abitare, dove lo sguincio turistico è ancora un’eccezione e il sultano è un tipo modesto e illuminato, che si preoccupa del bene comune. Muscat e Sur sono due deliziose piccole città dove i vicini grattacieli stile Abu Dhabi sono banditi, le uniche misure ammesse sono il bianco delle case, il caldo della roccia, la prossimità attiva delle tradizioni, una religiosità tranquilla, l’umanità partecipe e rispettosa che ti accoglie dolcemente.

Bentornata, maledetta europa, il giorno che scopri come le vergogne italiane facciano manipolo compatto con le allucinazioni di tutti, in-continente. E mai più, volare Lufthansa, la puntualità gelida con cui ti recapita a casa tutto bollato e certificato, l’efficienza della polizei aeroportuale che ti smanaccia le palle ripetutamente. voglio partire e arrivare in ritardo per tutto il resto del tempo che ho davanti.

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– to be continued –

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16 risposte a “The Oman diaries (I) – patologia di un ritorno a casa

  1. hai un potere fortissimo, ale.
    la tua scrittura è potente.
    e per quello che scrivi del rientro a casa…se non fosse per tutte quelle cose che hai detto all’inizio. io sarei tornata indietro sparendo nella folla per andarmene.

  2. mi viene da piangere e non lo dico per dire, perché vivo in un posto che potrebbe essere come Muscat e Sur e che invece imita le peggio zozzerie della Roma bagascia. vivo in posto che sembra una donna che, per sentirsi emancipata, rinuncia a tutta la sua femminilità scimmiottando il lato peggiore dell’universo maschile.
    poi ho pure una brutta pre-menopausa, quindi forse mi viene da piangere anche per quello.
    ma intanto piango, va. giusto per non far prosciugare questa valle di lacrime.
    e comunque sono felice di rileggerti. 🙂

  3. Oh, sei tornato!
    Sono contenta!
    Ti leggerò con calma domani.
    Ora anche per Gelsy è arrivata la stanchezza!
    Love
    Your Gelsy

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