Volevo farmi interrogare da Bukowski II – sulle strade di Sangiorgio

chi“Probabilmente penserai che sono il tipico bastardo crudele, ma questo è soltanto il lato che lascio vedere alla gente, un blocco di cemento con due buchi per occhi e una bocca che parla da un lato.
In questo grande paese ci è stato insegnato a non farci vedere mentre piangiamo in mezzo alla strada.
Facciamo un lavoretto preciso, piangiamo tutto in bell’ordine contro un cuscino, di notte, in una stanza che pensiamo non si accorga di noi.”

C. Bukowski

Puttana Eva, ecco che adesso mi tocca di aspettarlo chissà quanto. E glie lo avevo pure detto. Ci vediamo al Pattinaggio, le sei precise, ma dello stronzo non c’è traccia. Ogni volta la stessa storia, e ti tocca di andarlo a cercare, di chiedere in giro e beccarti occhiatacce e rispostacce come se fossi il capo della speciale appena uscito in strada in borghese per un martedì grasso del cazzo.

Mica tutti a sedici anni hanno la barbetta ben formata e quest’aria da finto adulto che pare meditata seriamente, ho sedici ridicoli anni ma certa gente me ne pensa 25 addosso, ad alcuni faccio un po’ paura.

Me ne vado lungo gli aborti di cespugli pieni di immondizie a buttare occhiate qua e là e a scovare nient’altro che preservativi e giornaletti e spazzature di tossici, qualche pischello smandrappato sgattaiola via, e io resto solo con la mia inutile aria da Celere in borghese, troppo piccolo per abbaiare, troppo grande per nascondermi.

Cazzo faccio adesso.

Finisce che vado su a piedi fino in cima al salitone, al negozio dei dischi, butto un’occhiata se c’è o meno il Monco, perchè se non c’è magari lo rimpiazza quella sciacquetta occhialuta con la mini inguinale e forse un paio di LP riesco pure a infilarmeli nel giubbotto, senza bisogno della famosa borsa da lavoro, la vecchia sportiva arancione e blu, polisportiva Palocco.

Che strano, mi mancano già alcuni giorni andati come fossi un vecchio, io e il Lucertola in giro per negozi, la sensazione di potere tutto, di sentirsi caricati a molla. Sono i dannati libri, diceva lei, una buona per essere sfruttata e poco altro, un pulpito con le tette precoci e prediche a cazzo nei rari momenti che un incurabile isterismo da figlia di papà le concede. Sono le seghe mentali che ti fai con i Bukowski e i Dostoevskji, ma quale “vissuto”, sono così pochi i momenti che abbiamo vissuto, rimpiangerli è da veri coglioni.

Eppure quella volta, prima che cambiasse gestione, al negozio di dischi c’erano ancora quei due con i barboni che sembravano i cugini borgatari degli ZZTop, solo ancora più obesi e coatti. Che storia, io e quel rottinculo di Lucertola, con le borse sportive e il sistema che si può dire avessi brevettato io.

Allora mi metto a dire: questo te lo compro, OK amigo. E tutta una serie di cazzi di gesti e modi di dire e occhiate tipo yeah I know you’re my brother, ci s’intende paisà, e magari la prossima volta mi fai pure un cazzo di sconto e mi fai il favore di rimediarmi il bootleg dei Greatful Dead in trasferta a Omaha, mi raccomando, ciao ciao arrivedercelo. Aahahah…e s’è pure messo a ridere del motteggio, l’idiota.

Bene, ce ne stiamo andando e loro sono tutti girati e rilassati, e intanto Lucertola se ne torna al bancone della cassa e gli piazza un blocco tipo pallacanestro, fa la mossa di chiedergli una cazzatina mentre io nel cono d’ombra acchiappo tutta intera la sezione XYZ (che cazzo, così ci smazziamo un bel po’ di Joplin, Jefferson, Yardbyrds, Young, ZZTop, Zappa e chissà chi altro, e prima ce li registriamo poi ci andiamo a fare la bancarella all’Università) e la ribalto dentro la zippata arancione della Polisportiva con un gesto da autentico Mandrake.

Ma purtroppo qualcosa va storto, ce l’aspettavamo prima o poi, non poteva andarci da dio in eterno. Il Ramarro è nervoso e non fa bene il suo lavoro, Cristo, e dire che gli avevo pure fatto fare le prove a casa mia. Così succede un vero bordello e il più grosso degli ZZTOP mi si avventa addosso come se ci avesse un peperoncino gigante che gli si agita in culo e fossi io l’unico responsabile dell’audace rapina, mica quel coglione del Lucertola che invece cosa ti fa, il bastardo, se ne sguscia via come una piattola e nel giro di due secondi è già scomparso lungo il marciapiede e giù a rottadicollo per la discesa di San Giorgio, e io spero qualcosa tipo che si ammazzi mentre attraversa la strada, glie la tiro con tutto il cuore, con gli ultimi battiti rimasti, ed evoco questa immagine in cui finisce sotto le ruote dell’autobus e l’autista non se ne accorge nemmeno, e non si ferma nessuno perchè è esattamente dietro una curva cieca che accade. E prima che arrivi qualcuno a levarlo di mezzo gli vanno sopra cinque o sei Volvo di quelle pesanti, finchè il ricordo del Lucertola comincia a somigliare a una cassa di Sanmarzano maturi scivolata da un camion in corsa.

Penso tutto questo in una frazione di secondo, giusto il tempo di saltare con tutta la borsa piena di dischi che pesa una madonna sullo scaffale centrale del negozio, perdere temporaneamente l’equilibrio e pensare che è finita, ritrovarlo per miracolo di Giuda e riuscire a mollare un calcio in piena faccia al barbone rocchettaro, almeno così mi pare di ricordare, e poi volare via non mi ricordo più nè come nè dove attraverso i raccoglitori dei dischi in esposizione, ascoltando i tremendi crack dei vinilici che si riducono in poltiglia sotto i miei piedi e il rumore di mitraglia che fanno poi le mie suole spinte al galoppo selvaggio sull’asfalto della strada lì fuori.

Il negozio dei dischi di Sangiorgio, la scoperta delle sfighe del Lucertola, uno che ho dimesso da amico mio, adesso lo saluto e ci scherzo e lo prendo per il culo appena posso, lui viscido fa fare, sempre un po’ deferente, comincia ad avere l’occhio pesto e il vittimismo passivo-aggressivo dei tossici veri, forse non val la pena spenderci nemmeno l’ironia sopra. Restano questi cazzo di giorni senza senso, la fila dai pusher di San Giorgio d’Acilia, resta che a sedici anni sono tutti in crisi, pischelli e vecchi, ognuno col suo delirio cappottato addosso, e qualcuno mi dovrebbe dire che male c’è, a sentirsi un pelo più abili degli altri a scantonare dagli esami, a dire cazzo e merda al mondo e sentirsi girare i romanzi nel cervello e avere croci nel passato piantate su terre nostalgiche.

Intanto forse il tizio del pattinaggio è arrivato un attimo e poi se ne va a fare in culo da qualche parte. E i soldi che ho in tasca non sono nemmeno miei. Pensa che faccia mi fa quella stronzetta di Lolita se arrivo a mani vuote, e mi tocca sentirla che gli viene su la giugulare e la voce sfessata da Betty Boop e comincia tutta ad agitarsi e mi tocca riciucciarmi la storia intera.

Che questa volta, proprio questa volta per trovare questi soldi, l’ha fatta davvero grossa, giacchè non potendo ulteriormente squattrinare il paparino perchè giusto due giorni fa le ha dato i soldi per Londra, allora si è fottuta il ventuno pollici a colori del salone, e ha pure fatto un lavoretto artistico tipo lasciare la finestra del soggiorno semiaperta per far credere che qualcuno abbia scavalcato di notte mentre tutti dormivano. E’ stato il Lucertola, ovvio, che s’è portato a casa pure un tostapane, un set di posate d’argento, l’edizione autografata da Kerouac stesso di Sulla Strada, roba che il paparino bene ancora urla, le minchiate della propria giovinezza, quando la Banca ancora non gli aveva messo la scimmia incravattata sulla schiena. Di queste storie son fatti i soldi che tengo in tasca.

Fanculo tutti. Se mi dice qualcosa questa è la volta che gli mollo due pizze a Loli. Voglio vedere lei che si mette ad aspettare le ore col culo poggiato sulla ringhiera del pattinaggio, circondata tipo Custer dal manipolo di pischelletti sbroccati che gli girano intorno e sai quante se ne inventano di pesanti per metterla in mezzo. Mi pare di vederla, con la puzza sotto il naso che gli cresce e magari a un certo punto gli fa un pezzo da matta dei suoi perchè comincia ad avere paura sul serio e casa è lontana, almeno cinque o sei chilometri che da queste parti vogliono dire un abisso, e paparino non riuscirà mai a raggiungerla, e nemmeno quel frocetto più grande con cui dice di avere una storia, detto Gran Testa d’Alce, perchè troppo impegnato con la Luiss. E allora già se la sarebbe cavata di lusso se la lasciano andare dopo che si sono divertiti a dargli qualche tastata come si deve, e a guardarla trionfanti mentre per la rabbia e il terrore gli occhioni le si riempiono di lacrime.

Non provare a uscire dalla tua pelle. Non farlo mai, anche se ti vesti scaciata e assumi tutti gli atteggiamenti del cazzo di una che pare abbia vissuto. Non ti crede nessuno. Prova a mettere il naso fuori dalla bambagia di pupazzetti e cuoricini e letterine, prova a dirlo a San Giorgio e poi ne riparliamo.

Anzi, guarda, lascia perdere. Continua così perchè tutti facciamo finta di crederci e non si può vivere senza le favole, dopotutto.

Poi un giorno ti svegli ed è cambiato tutto, ma proprio tutto, e tu non sai ancora esattamente di cosa diavolo si tratti.

10 risposte a “Volevo farmi interrogare da Bukowski II – sulle strade di Sangiorgio

  1. Minkia che pezzo di pezzo!!! Petardi verbali, capriole da saloon, mood ciondolante queltantochebasta e un finale che è quasi struggente. Anzi quasi senza quasi. E fanculo il Lucertola… 😉

  2. è sempre la sintesi, sempre lei, a farti scrivere come un genio. ritmo, personaggi, situazioni. brividi. la struttura no, quella non ce la metterai mai, maledetto – e detto bene – psichedelico che sei. 🙂

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