3 Palle della mia Vita

IMG_0016Sarà che le cose migliori della vita sono quelle che ti vengono senza pensarci, quelle per cui nessuno t’ha preparato, in cui soltanto il caso assume la noce di te stesso per mostrarla ai giorni, un domani.

Sarà che il fascino della discontinuità esistenziale somiglia al passaggio baciato che ti sottopone l’ala del fato, dopo aver corso per tutto il campo con il fiatone che monta grosso. A te non resta che cogliere l’attimo per buttarla dentro di conseguenza, quando avrai la tecnica per comprendere.

La storia viene da lontano, ha a che fare con l’odore dei prati rasati di fresco, con l’equilibrio incerto delle gambe che serve a mandare avanti la palla, a capire come evitare gli sgambetti, con un pomeriggio di giugno in cui t’hanno appena incluso nella squadra dei più grandi che giocano alla morte, roba che nella piccola vita tua non avresti mai osato chiedere.

Chissà perché da ragazzini le pippe le mettono sempre a guardia dell’area di rigore, pensieri che che ancora non ti appartengono, quando ti sarà chiaro come la fase difensiva sia esattamente il primo passo necessario per impostare bene il gioco.

Per adesso stai zitto e buono cerchi d’intercettare la sfera dentro l’onda degli altri scalmanati che ti vengono addosso sbuffando. Con le gambe che tremano ti sistemi a protezione della porta sui calci d’angolo, è proprio lì che dopo qualche minuto spiove una palla maligna che il tuo piede elementare svirgola fantasiosamente.

La palla, che è certamente un’immagine del mondo, prende un giro imprevisto e oddio, termina nella rete alle tue spalle, un autogol della madonna.

A te viene da piangere, anche peggio in effetti, ti viene da trattenere dentro la vergogna di un gesto, maiala di una palla, e c’è lo stupore del tuo amico lì vicino che ti guarda malamente. Sta dicendo, lui, che non si fanno queste cose, ma non si riferisce all’autogol, parla e mima una sua filosofia precoce da asporto.

Guarda me che me ne frego”, fa, ferma la palla successiva, si gira verso la nostra porta e segna un altro autogol con un tiro a mezz’aria che s’insacca vicino al palo di giubbotti ammalloppati.

Ecco, hai visto come si fa a non piangere?”, dice lui ironicamente, e mi dà una spinta.

Tutto molto bello, pensi tu, che hai appena fatto un autogol del cazzo, ma t’è passato lo stranguglione e hai trovato un amico che la sa lunga.

La storia poi prosegue di qualche anno, sono tempi in cui misuri l’estensione del mondo e il mondo misura te, state scoprendo la circolarità della palla, il suo potere di boomerang divinatorio che ritorna.

La storia ha l’aspetto di due agitate classi di liceo che se le danno di santa ragione calcistica, sul campetto della Stella Polare di Ostia.

Sono passati otto anni dall’autogol, tu appari ancora bloccato laggiù, in difesa. Hai imparato la tua minima parte di mestiere e la grinta sufficiente di un terzino ma vorresti pure qualcosa di più, ad esempio dare un corso agli avvenimenti, scoprire che la troia palla si fa sedurre da un chiunque, basta azzardare l’esserci, l’abbandonarsi al gesto, al non pensarci, e poi svettare nelle parole e nelle spinte dei compagni che preparano la partita o che tornano a casa sudati come bestie.

E’ così che una mattina ti avventuri sulla fascia destra del campo, sotto l’ombra dei pini profumati. La Quarta A contro cui giocate tutte le settimane a ginnastica è piena di fascisti, e non è un problema politico, avete solo l’età che contrappone e loro tutti, sarà un caso, delle belle facce di cazzo. In più, hanno due pesanti gol di vantaggio.

I compagni che ti vedono scappare ti richiamano all’ordine ma tu non ci senti, arrivi quaranta metri più giù e nessuno se l’aspetta, sgomiti per farti largo, colpisci la palla di testa e insacchi nello stupore generale. Anche tu sei sbalordito, non esulti nemmeno, torni solo al posto.

Poi qualcosa continua a spingerti avanti, sotto la porta dei fascisti, e cominci a fare pressing su ogni rilancio del portiere. Corri come un matto per offendere, loro non ti credono ancora molto così alla fine ce la fai, intercetti la palla in spaccata, ti giri tra le bestemmie della difesa avversaria, la porta è spalancata e il portiere ha paura, di destro metti dentro il pareggio e la doppietta che ti schiantano per terra, tutta la tua Quarta B ti è precipitata addosso che ancora non vi sembra vero.

E c’è anche che te la smetti una buona volta di fare il terzino, che in tutti i match che seguono da quel giorno fino alla maturità te ne vai da solo e quando ti pare a cercare la porta avversaria, con il capo della sezione A che strilla ai suoi terzini fascisti di non perderti d’occhio, e porca-di-una-puttana.

La storia continua per sequenze di domani che si accavallano tutte fino a oggi. Hai giocato ancora la palla saltuariamente e in giro per il mondo, là dove ti sembra che il linguaggio circolare della sfera assuma il suo tono più espressivo e nobile.

C’è gente nerissima di Zanzibar che vi sfida su una spiaggia bianca di corallo sfarinato, sotto un boschetto sontuoso di palme.

Siete l’Italia voi, ci dicono seri seri e compunti. Siamo l’Africa noi, ci esclamano sorridendo in un modo che noi possiamo solo sognare.

Poi si presentano al campo con le divise di squadra vera e il pubblico urlante e persino l’arbitro col fischietto e la casacca nera. Noi giochiamo e ci ammazziamo sulle gambe, dopo dieci minuti che corri sulla sabbia in effetti sei già mezzo morto, loro sprintano come furetti e scalciano come asini, l’arbitro ci annulla l’unica palla dentro che mettiamo noi e fa durare il secondo tempo il doppio di quello che avevamo pattuito, finchè Zanzibar alla fine non insacca la troia palla del vantaggio.

Immediato arriva il fischio finale, l’apoteosi multietnica, gente che beve e balla e s’abbraccia il sudore e si scambia le foto e gli indirizzi di casa e quelli delle capanne locali dove fanno il pesce alla brace come pochi nel mondo.

Così è che la storia si fa contenitore, per questo motivo non t’importa più di tanto che il tuo gioco preferito si svolga oggi dietro il velo marcio delle cattedrali televisive, o che venga dato in pasto al Leviatano dell’interesse privato e del profitto senza cuore.

Il piacere è ciò che sai scegliere al mercato della vita, l’estasi può essere esattamente la geometria precisa di una trama di passaggi, il movimento compatto delle linee dello schieramento, il piglio grintoso con cui i giocatori stanno in campo, la passione che riduce tutti a illusione d’infanzia, così com’era tutto quando non si ragionava troppo e i gesti erano senza ritorno e l’istinto la faceva da padrone.

Per tutto questo ami il fatto che i palloni rotolino a decine di migliaia in giro per gli angoli del mondo, a fare gioia e linguaggio e memoria.

*

-Alla meravigliosa squadra del mio cuore-


garcia

11 risposte a “3 Palle della mia Vita

  1. Essere fanciulle e non aver mai tirato un calcio ad un pallone in questo caso fa la differenza, messa così bisogna perdonarvi tutto, anche quelle volte in cui sacrificate le ammiccanti grazie della macapitata fidanzata all’estatica ammirazione dei tricipiti di qualche terzino 😉
    PS: ovviamente sia sempre gloria alla Magica 🙂

  2. Mi fai uscire il sole e perfino io mi metto a giocare, campionessa degli autogol più fragorosi, tifosa per niente di niente. Solo che poi mi mettono in porta, la pippa. Che me frega se mi esce il sole. E il sorriso.

  3. Da ragazzina giocavo in una squadra femminile di quartiere (di stabilimento balneare per la precisione), ci allenavamo con i nostri amici maschi, quasi tutti pallanuotisti, che si facevano menà ben volentieri. Il mio ruolo era di stopper (perché menavo più di tutte) ma, credimi, ero proprio una schiappa. Il calcio mi piace, lo capisco, ne conosco le regole anche etiche e per questo ho smesso di guardarlo.

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