Il rumore che fa la coscienza delle cose lo avverti soprattutto di sera, quando la luce comincia a spegnersi nelle fessure tra gli oggetti. Il cervello attutisce il chiasso nervoso della propria dominante visiva, il buio avanza e rivela i mondi che non avresti mai creduto, tutti gli scarti della tua consapevolezza che per anni hai pensato di dominare.
Sogni, siamo traffico di immagini che si sovrappongono e si scontrano, per lo più, un pugno di bastoncini di shangai sensoriali che tremano, colpa della televisione, delle velocità imposte, delle apnee da se stessi, con tutti i fiati mefitici che ci soffiano alle spalle e spingono la vela, con la realtà che rumoreggia minacciosa sotto l’oceano dei sensi, non abbiamo nemmeno un elastico che ci tenga bene insieme.
L’hai detto e ci pensi. Ma son cazzate, concludi, in fondo.
Quando arrivi a questo punto, in genere, usi fare un mezzo giro su te stesso e una pausa, appoggi l’indice dietro un orecchio, dai qualche ruga interessante alla fronte mentre guardi nelle palle degli occhi qualcuno di quelli che ti sbadigliano in faccia dalle prime file.
Qualche volta t’è sembrato persino di vedere Marzia mezzo nascosta lì nel mezzo. La sala ha un brutto riverbero su di te, da qualche tempo, ti sembra da certi sorrisi colti che qualcuno ti confabuli contro. Ma devono essere scherzi dei nervi offesi, chi potrebbe spiegarlo meglio che te stesso.
Cazzate. Ecco. Il lavoro è un rifugio di peccati privati, non ha niente a che vedere con l’efficienza delle cose del mondo.
Ed è così che ci si fotte la vita, esattamente, dio santo.
Ora metti giù una frenata che pare la fine del mondo.
La macchina sotto di te che fischia e sbanda di fianco gli ultimi metri prima di fermarsi a un niente dal palo della luce. Tutto solo per salvare un cane che è sbucato da un cespuglio, un maledetto bastardo di cane randagio.
Scendi che ti tremano ancora un po’ le mani, fai il giro della macchina un paio di volte col ronzio del lampione al neon che ti sovrasta e sembra uscirti direttamente dalle orecchie.
Una volta li amavi i cani, poi è successo qualcosa, uno scavo lentissimo, impalpabile, che t’è sfuggito, uno di quei conti che pensi di fare dopo su una calcolatrice ma poi l’energia non ce l’hai, e i cani sono un cazzo di argomento laterale, ci mancherebbe pure che ti attardassi ora con i contributi alle leghe anti-vivisezione.
Quello che conta è davvero poco e nemmeno ti sembra di saperlo tutto.
Quello che non ce la fa a crescere, decade, è la maledetta teoria dei sistemi che ti fotte. Da soli non si può far altro che scappare. Da soli non s’incontrano che stelle nere, attrazioni indicibili che ti trascinano e lasci fare, per il solo piacere dell’aria che ti arriva sulle guance a sollievo.
Così Jorge è diventato il tuo buco nero, scopri adesso la risibile astronomia metaforica dei tuoi transiti settimanali al Villaggio Olimpico.
E’ Jorge che sei venuto a cercare per queste strade ancora oggi, che sei quasi sicuro di non trovarlo, lui ha cambiato quartiere, lui come una scultura si è mosso, pelle nera, pelliccia bianca, e tu affondi, vorresti darti matto senza altre mosse.
Guardi di lato sul prato incolto i ponteggi del nuovo centro commerciale; in alto, le luci rosse delle gru fanno quasi piangere. Poi ti volti e vedi il cane che freme, mezzo spezzato, cinquanta metri dietro la tua macchina.
E dici basta. Per stasera può bastare.
Torni verso casa guidando piano, costruendo i pensieri come se stessi operando su modellino di balsa in scala uno venticinque.
A un semaforo ti si avvicina un bengalese piccolo e storto, con un sorriso fiabesco. Tiene in mano una specie di vassoio dove una decina di cagnetti giocattolo fanno avanti dietro sulle molle.
Stai per comprarne uno, chissà perchè, forse perchè ne hai appena ammazzato un altro, forse è solo il sorriso del bengalese che ti fa un inchino, la scintilla che cade dal filo di un tram e illumina la scena incredibile per un istante.
Marzia, quando l’hai conosciuta, faceva collezione di palle di cristallo con la neve che scende dentro.
Che cosa inutile, avevi pensato, che tristezza. Eppure.
C’era tanto altro cui dare impulso, tanti altri cui rendere conto.
In un trailer di luce sovresposta vedi il film, soggetti bruciati, camera che trema.
Tu che abbracci Marzia in mezzo a una folla che sembra una mandria di ritorno al recinto, dopo il lavoro. La prima volta che ti appoggi a lei, il movimento impercettibile delle sue anche a difesa del bacino. L’ultima volta che l’hai stretta, stamattina, il bacino che avete attaccato sulle guance.
Adesso hai la certezza che anche una piccola misera cosa fuori posto può ingrossarsi fino alle dimensioni del macigno, succede con la complicità del tempo, del buio, ma c’entra molto altro ancora, il natale che sta arrivando con le sue cazzo di renne scoppiate e nascondino dietro i bambini, dio solo sa cos’è peggio.
E’ la teoria della valanga che ti fotte, la farfalla che ha sbattuto le ali a Tokio, dieci anni prima, e tutto il casino sociale e privato che s’è organizzato intorno, i groppi di cioccolatini e le stagnole a intasare i cessi e le speranze. .
Tu capovolto e la neve che ti cade addosso, che cosa insensata, sentirsi albero e sentirsi palla, sentirsi solo spettatore, il rumore che fa la coscienza delle cose, acquattato nel buio tra i cespugli sulla circonvallazione, a due passi da casa.
Adesso è mezzanotte, svegliatevi bambini.
*
(Stella di copertina: Maurizio Cattelan, Christmas 95, 1995?
metti della buona musica e bevici su del buon Rhum…che magari non ci pensi fino al 6 Gennaio.
Buone Feste Ale!
grazie Ale, altrettanto.
se mi posso permettere, tutti dovremmo fare il percorso inverso, dedicare le feste alla memoria delle cose, soprattutto quelle scure, cose che fanno crescere e diventare “più buoni”, tra l’altro 🙂
è vero. tuttavia capita anche che questo percorso venga fatto anche fuori dalle feste, per questo forse ci si dovrebbe riposare un pò durante le feste… ma talvolta neanche una bottiglia intera di rhum può metter fine al tormento che ti da la memoria di certe cose.
ma la coscienza non ha riposo, se siamo ancora in piedi vuol dire che il dolore è sopportabile, magari fa anche bene, chissà, il rum invece, se non sei ad Havana in panciolle, stordisce e fa male 🙂
accidenti Ale non riesco mai a fregarti…;)
ma io sono il miglior rompicoglioni sulla piazza, dimentichi (ti voglio bene)
ma scherzi! me lo ricordi sempre in tempo!
ihihihih, se non fossi tu….
“Siamo traffico di immagini” è davvero bella ed azzeccata.
grazie tilla, traffico di sostanze direi 🙂
Io vorrei scappare dai tuoi racconti, sono come il marchio infocato che si facevano alle mandrie. Mi fanno male.
grazie suona male qui, però il tuo commento è chic, come al solito, e la storia delle mandrie mi piace molto, è una vita che sogno di scrivere un bel western con i controcoglioni! 🙂
Cerco sempre di non farmi prendere dall’apucundria natalizia, cerco sempre di ritrovare la bambina che mi vive ancora dentro nonostante la cenere depositata sul fondo. Ma proprio ieri, mentre guidavo, mi sono scoperta a dire a voce alta, da sola, come una che non conosco, ” che cosa stai facendo! Che stai facendo?!” e non era indirizzato al momento e neppure alle persone che oggi mi gravitano attorno. Era piuttosto una sintesi di tutto quello che sono e non vorrei essere, di tutto quello che mi è sfuggito e che avrei potuto trattenere, tutto quello che potrei fare ma che non m’interessa più. E allora, in questo tempo, farò quello che faccio sempre in queste situazioni: mi fermo, mi ascolto e tendo un filo al mio vissuto.
Ti abbraccio.
Rossa cara, che dire, è molto vivo ciò che scrivi, e in fondo abbiamo il privilegio di poter fare quell’esercizio del “fermarsi” in “solitudine”, ne parliamo un’altra volta ma non è poco, a far la conta globale.
Se sapessi quanto sto aspettando che quest’anno se ne vada per il culo della storia 🙂
Penso di essere oltre l’appucundria bianca, quando passa Saturno bisogna stare in trincea, e magari si scopre che si brinda lo stesso, su altri registri, e si può sorridere comunque delle cose che passano, come questa odiosa nebbia di stamattina.
Un abbraccio e un bacino a te
R-exist
Sì. Sei grande, Alex.
Mi fai male e mi fai bene.
Molto male e molto bene.
Sorrido e…
Inutile dire troppo.
Tu mi hai compresa.
Love
Your Gelsy
Sorrido e…
gelsobianco nella notte bianca 🙂 bacino