Blublu II

bluIl bene e il male che vivi, dipende da dove applichi il punto di osservazione, ovvio che sia così, anche le particelle subatomiche costruiscono le loro traiettorie in maniera imprevedibile, troppo spesso negano persino la propria esistenza o peggio ancora la occultano, come il corpo ingombrante di un reato.

Stai pensando a come girerai la chiave nella toppa, a un contegno provvisorio che dovrebbe esserti sufficiente a sistemare l’impermeabile nell’ingresso, ad attraversare il soggiorno in fretta, a svoltare direttamente per lo studio, evitando altro che non sia un saluto rituale o il convenevole rapido e senza conseguenze.
Il punto d’osservazione che hai scelto, in ogni caso, non prevede l’apparizione di lei sdraiata sul sofà con la cornetta del telefono tra spalla e guancia e una gamba sul bracciolo, la gonna scivolata a mezza coscia, una certa elettricità indicibile che ispessisce l’aria.

Lei in un’insolita aria di comunicazione possibile.

Le passi accanto senza dire una parola, senza girarti, non sai se lei ha alzato lo sguardo sulla tua schiena. Sei nello studio e butti fuori il fiato, butti la borsa da qualche parte, ti siedi nella poltrona di pelle e ti rialzi subito.

Hai sbagliato a tornartene a casa, solo questo sai.

Lei adesso ha le braccia incrociate, nella cornice della porta dello studio, con tutto il suo sguardo superficiale che sonda, come qualcosa che avanza e si ritrae, gelidamente.

-Lo sai che Celeste non dà più notizie di sé..

Celeste ha la sua vita.

E non t’importa di come possa stare io in tutto questo?

Non ci posso fare niente, niente, ho provato a spiegartelo..

Almeno, abbiamo smesso d’insultarci.

Di questo, bisogna darti atto.-

Qualcosa di te se n’è andata tanto tempo fa. Non ricordi se fosse proprio quello il periodo. Solo il suono indefinito della rottura. Comunque quando succede, una parte di te comincia a morire producendo beffardamente la maturità della tua intelligenza sociale ed emotiva. Un’altra resta a svenarsi sul binario cieco di ciò che ti è passato. Quest’ultima, lentamente, con la grazia del destino che cresce, comincia a minare le fonti.

Se ti concentri, vedi ancora la donna di un giorno qualsiasi uscire da un ufficio e camminare svelta davanti alle vetrine di un viale. La vedi per diversi giorni di fila alla stessa ora nello stesso punto, poco prima di sera. Vedi quella donna e non succede niente per diverso tempo, solo le rondini che avvitano figure in cielo, tu che cammini sullo steso marciapiede per raggiungerla al parcheggio.

Il motivo di scavare segni nella fossa delle cose che ti scorrono a lato senza destino.

Le eri arrivato vicino, stavi quasi per toccarla, senza sapere bene cosa dirle.

Per fortuna che lei, nella cecità di chi ha fretta, s’era infilata in macchina senza lasciarti il tempo. Avevi visto gli occhi inquieti, l’eleganza un po’ trascurata, e poi quel rosso che le era salito agli zigomi, improvvisamente tra i pensieri, a indicare uno slancio silenzioso, un fuoco selvatico dentro, o solo la tua tendenza paranoica a leggere i pensieri.

-Marco devi riprendere il controllo. Marco, prima che sia troppo tardi.

Tu non vuoi che io me ne vada. A cosa ti serve, allora, spiegami, avermi accanto in questo modo.

Marco, io me ne sto andando, Questa volta sul serio..Marco, mi senti?-

All’angolo del viale, due isolati più in giù, in un altro giorno, hai visto Marzia salire di slancio in una macchina che le si era fermata accanto.

Hai seguito quella BMW scura accelerando con forza nel traffico serale. Una certa angoscia di perderla, ancora prima di conoscerla. Fino a strade che diradavano i palazzi, che tagliavano via la gente dai marciapiedi, per finire con la campagna aperta a fare da ultimo sfondo. Fino a un cespuglio in cui la BMW s’era occultata, ammiccando leggermente con gli stop.

Una cinquantina di metri dietro, tu, le mani sul volante, guardi il grumo di luce sanguinolenta che tarda a sparire, in fondo alla prospettiva dei campi.

figaIl tempo che passa senza senso. Poi il grido di un animale, più o meno. Intorno il buio fittissimo.

Lei modulava quel grido che pareva il verso di un uccello ferito o un richiamo, un disegno antico, irragionevole, vagamente familiare.

Non era stato difficile dopotutto, avvicinarla con una scusa.

Marzia aveva gli occhi inquieti e i fianchi larghi e quel grido di seduzione che veniva da molto lontano, da fuori di sè. Tutto qui.

Ma Marzia sotto di te, non aveva più gridato in quel modo.

Ogni cosa, ogni cosa porta a pensare che ci fosse un disegno.

Ma le cose che ti colpiscono, alcune se ne fregano, altre ti attraversano come fulmini, bruciando le estremità con cui interpreti il mondo.

In fondo, ti si potrebbero aprire altre strade, il giro delle professioni fa fuori i propri scarti, ma il mondo è ancora capace di propagare una specie minore di appartenenza sociale, si organizzano gite aziendali a visitare la demolizione dei relitti.

Come in ogni buona famiglia, Marzia avrebbe potuto allontanarsi senza fretta, senza eccessiva pena. E tu accettare serenamente la separazione, tutto quello che di storto stava arrivando.

Più che il diffondersi della notizia stessa, più che lo scandalo che, una volta stemperato, ti aveva regalato qualche insospettabile grado di carisma in più, era stata la stella marcia di Jorge, la sua parabola illusoria al centro della tua vita, a far precipitare le somme.

Le sue parole, ancora prima della carne.

La mancanza improvvisa di quel nostro signore scuro, intorno a cui far quadrato nei movimenti incredibili delle notti.

Non si capisce niente di questa storia, eppure se la lasci andare così sfocata ti resta molto di più, un alone, un sapore, un puzzo.

Chi l’avrebbe mai detto, particelle che negano la propria esistenza, prospettive che sorgono e muoiono nell’arco di un istante. La fisica dei quanti che hai illustrato a migliaia di studentelli in calore ti si ritorce contro.

E il piccolo mondo che ti rimane non comprende Celeste, la tua bambina che esce di casa un giorno dopo averti fatto il muso per una settimana.

E Marzia non può fare niente, nemmeno sforzarsi più di farti apparire elegante, giacchè le tue teorie astruse si mangiano quel poco d’attenzione che ancora dedichi ai dettagli del vestiario, per quegli ultimi colloqui di lavoro cui ti presenti.

Il buio avanza a scatti, mangiandosi i margini delle giornate.

Ci sono stati ancora mesi che ti sei messo a seguire le tracce di Celeste.

Perché al di là di tutto, l’attesa ti è sembrata tollerabile solo evitando di startene fermo, non ricordi nemmeno bene in che posti allucinanti hai cercato di pedinarla.

Avresti voluto sorprenderla con un te stesso che lei non avesse mai immaginato.

Andare così, in mezzo alla città, con un riferimento minimo e tutta la briglia sciolta di ciò che sta accadendo. Andare in mezzo alle piazze, scansando le parole e i dibattiti collettivi, sopra i traffici dei giornali consegnati e delle uscite di scuola nell’ora di punta, e nel frattempo mantenersi vigile, in ascolto.

Evitare qualsiasi gesto decisivo, ad onore d’esperienza, ritenendolo subito per quello che è, grave e sconsiderato.
Così come erano giorni che adesso sono lontanissimi, e altri che percorrono tutta la breve distanza della tua vita al contrario.

L’immagine di un te di successo che va sui giornali, diventa cosa pubblica.

Il movimento brutale con cui la stracciano, diversi anni dopo, adesso.

Sopravvive solo ciò che si adatta e sa cambiare forma.

La post-modernità che avanza, oppure quel poco di Celeste che, da subito, avevi riconosciuto come tuo, Marzia e Jorge e la realizzazione coincidente di più sogni.

Non si capisce niente di questa storia, eppure se la lasci andare così sfocata ti resta molto di più, un alone, un sapore, un puzzo.

La benedizione di ogni sintesi. Lo spirito dei tempi.

Non sapevi nemmeno scrivere, solo bucce alle ginocchia.

La città, e il paese, e ogni altra cosa, era piccola e diversa.

Non sapevi guidare la macchina, e Marzia era pressappoco ancora il fantasma pruriginoso di ogni donna che ti avrebbe sollazzato.

Sopravvive solo ciò si abbandona alla natura oscena delle cose.

Diverso è il conto degli altri.

fetus 2001

E ancora più indietro, verso quella forma d’allusione definitiva che è il tuo feto celeste, nello spazio asfittico di un tuo cosmo privato.

Un auto2001 nello spazio, senza spettatori.

Posso solo ricordare che la memoria del mondo, in tutta questa lontananza, diventa il problema da cui ricominciare. 

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