Diario di un giorno di Scuola

t3

Credo che se mai riuscissi a parlarti dell’amore, così come è l’amore dell’uomo per la donna in questa storia, una grande luce mi prenderebbe il volto e forse crescerei in altezza e prestanza, e anche tu saresti costretta ad accorgerti di me, piccola Susi, del fatto che non sono solo belle parole e sospiri leggeri in amicizia qui tra noi, ma una piccola cosa tiepida, struggente che comincia a pesare nel freddo incalcolabile del tuo cuore.

E’ inutile forse che io ci pensi, non è bene che mi distragga troppo, troppo rumore di mondo abbiamo intorno e anche se fossimo da soli poi, non ci raccontiamo le favole, figurati se troverei mai il coraggio per un’uscita del genere.

Affollati intorno al primo banco, premuti stretti addosso a me che sto seduto col libro aperto davanti, così stanno tutti.

Viglietti col suo cimitero di brufoli e l’alito pesante, Della Bruna che di peso m’ha piantato gomito nel fianco, la Susi illanguidita tra i riccioli stopposi che mi fa:

Dai, dacci un’idea almeno, sbrigati!”

E ogni colpetto che mi molla sulla spalla e vicino al collo è come una piccola frusta di brivido che m’attraversa fino ai piedi. Tutti gli altri ammassati intorno allungano il corpo e l’occhio e spingono e dicono e cercano di carpire qualcosa che gli possa venire utile nell’interrogazione collettiva di lì a poco.
Niente mi viene da dire. Provo a rileggere il testo per carpirne il segreto, il nocciolo duro di una spiegazione didattica.

Un uomo e una donna che si amano ma c’è come un’ombra tra di loro.

Lui sta in giardino e guarda lei dentro la casa, lei ha qualcosa d’austero, di folle e intoccabile, forse qualcosa di grosso da farsi perdonare. E’ la vigilia di natale e nevica, forse loro sono in fuga da qualcosa e forse hanno un bambino, continuo a leggere la stessa frase per tre o quattro volte senza capirla, poi salto alla fine della pagina e all’inizio senza venirne a capo.

Il profumo del vento di aprile o quello della pelle di Susi che arrivano a folate, sono piccole torture in più che finiscono per confondermi del tutto.
Lei mi guarda col panico che le sale candido sulle guance, ancora poco e il professore d’italiano rientrerà in aula, ognuno dovrà tornarsene di corsa al posto e a qualcuno di noi capiterà la bella sorte di dover dire qualcosa sul maledetto racconto di Maurizio Maggiani* che adesso sta qui di fronte a me e di cui non si capisce nulla.

Ma perché tocca proprio a me sintetizzare il concetto dell’amore da questo mucchio di parole, a me che non sono il primo della classe e non sono secchione, ho piuttosto una testarda attitudine a defilarmi, a rasentare i muri.
Dicono loro: Perché lui scrive poesie, che belle e che bravo, poesie d’amore, lui si che se ne intende di cose profonde.
I bigliettini e il diario e i graffiti che incido sul banco sperando che la Susi li legga, da tre mesi, questa è la verità, e questo non fa di me un’intellettuale, piuttosto fa un esaltato o un povero illuso, dipende da come giri la questione.

Perché la Susi è il tipo bastardo che puoi incontrare tutti i giorni sotto le acacie all’angolo della scuola che abbraccia Di Nunzio o Benci o Latino, lo fa con tutti a rotazione, con alcuni più di una volta, persino con me una volta s’è azzardata, non è questo il punto.

C’è però che quando la incontri, prima della campanella, facilmente lei sta ridendo come una matta, ride a bocca aperta, sguaiata, fa vedere il bigliettino con i versi che le avevi scritto all’asino di turno che da par suo nemmeno capisce bene di cosa lei stia parlando, tanto fumato sta dalla potenza ingombrante delle sue tette precoci che premono contro il torace.

E io sono sempre più prigioniero di questo racconto.

Quell’uomo strano ama talmente quella donna insolita, talmente gli sembra perfetto il quadro di loro tre uniti, neonato compreso, ed è la sera di natale o il giorno appena dopo. La ama talmente da comprenderci dentro perfettamente quel piccolo bambino di padre diverso, eppure sarà costretto a lasciarli, ad abbandonare la sacralità di quell’unione che gli sembra quasi una natività celeste, una faccenda grossa di cuore che lui non merita e che non potrà durare, perché nella vita non c’è nulla che duri davvero, una cosa che rischierebbe comunque di schiacciarlo. Perciò all’inizio della storia lui racconta come se ne fosse già andato, mettendo in mostra una specie di immagine eterna, lo scheletro del loro perfetto sentirsi esclusi.

Questi alla fine sono i fatti della storia, a ben vedere, se dovessi tradurre a pappagallo quello che m’è rimasto questo direi, tralasciando il molto che non so e che non capisco considerando che, in fondo, alla vita ho dato appena un’occhiata e già mi sembra cosa inutile e falsa, evitando di spiegare cos’è quest’onda brutta di lacrime che sento venirmi addosso, ora. Questa vergogna d’esistere che mi scopre davanti al professore d’italiano che è rientrato tutto sorridente tra i compagni di banco che se tornavano al posto, nel frattempo, e mi sta chiedendo se voglio essere interrogato su quel racconto, mi sta chiedendo se va tutto bene, se ho bisogno di qualcosa e anche che, se ho bisogno di uscire un attimo in corridoio a prendere una boccata d’aria, posso farlo tranquillamente senza problema alcuno.

Così l’ho fatto, me ne sono andato prima che le lacrime più grosse e pesanti si prendessero il controllo di tutto.

Ho cercato con lo sguardo il banco della Susi, poi ho avuto paura di guardarla negli occhi. Sono andato via nel frastuono dei passi di corsa e del sangue che saliva impazzito fino a bruciarmi le orecchie e le guance, nella confusione per tutto ciò che è alle mie spalle e per come sarà complicato tra poco e domani.

Per l’amore di quell’uomo per quella madonna con bambino e per la Susi, ecco, posso ancora immaginarmi che la Susi mi sia corsa dietro e mi stia chiamando a gran voce spiegata, adesso.

Il mio nome proprio che echeggia puro e senza limiti nel vuoto del corridoio e giù per le scale dell’istituto, nella corrente d’aria che trasmette il profumo crudele del vento di aprile, ed è così, mi pare proprio di poterlo sentire.

17 risposte a “Diario di un giorno di Scuola

  1. ci sono scrittori che appena dopo averli letti vorresti chiamarli e parlargli, così, come se fossero tuoi amici, come se il racconto che hai appena letto fosse un pezzo di una delle tante possibili conversazioni. fra le cose migliori che ti possa capitare c’è poterli abbracciare e io ti abbraccio Alex, dopo sto sconquasso dolcissimo che viene con le tue narrazioni. (una prosa così io non te l’avevo mai vista)

    • Ah ma se questa è un’interrogazione so preparato prof, parli con lingua di Salinger 🙂
      parte scherzi grazie, è ovvio.
      Si me permite, chica, non è tanto la prosa (ne ho scritte di migliori), forse è il “tema”, il sentimento, quella cosa che a noi latini ci fa sbroccare bene.

  2. La vita è davvero strana, Alex.
    E questo tuo racconto, proprio questa notte, mi ha colpito molto.
    E non voglio qui spiegare il perché io scriva “proprio questa notte”.
    Credimi. C’è un “perché” molto profondo.
    Le combinazioni della vita!
    Mi hai completamente rivoltata, come un calzino, con questo tuo racconto che ha per tema “il sentimento, quella cosa che a noi latini ci fa sbroccare bene.”
    Tu mi hai fatto sbroccare, Alex, proprio questa notte, e…
    Voglio anche dirti che una prosa così non è solita in te.
    Mah…
    Proprio questa notte…

    Gelsy si avvicina a te, ti abbraccia e ti sussurra, all’orecchio: “Come facevi a sapere che, proprio questa notte, poco prima, io…?”
    E’ passato un camion. Ha fatto tanto rumore che tu non hai potuto ascoltare le mie parole finali.
    Alex, ora non posso fermarmi a raccontarti ancora tutto.
    Grazie per il tuo racconto… proprio questa notte.
    Ti abbraccio ancora. Scappo.
    ಌGelsy

    • Grazie Gelsybel, il ragazzino del racconto sono io, naturalmente, i fatti sono inventati, il quindicenne no.
      Nulla cessa di esistere in noi, anche se si ha sempre bisogno di inventarsi un’altra vita, di coltivarla, di scavarla per anni a mani nude fino a chiudere il cerchio. questo è.

      • questo è, Alex! sì. sì.
        che tu fossi il ragazzino era stato sentito da me.
        e, proprio per questo, la scorsa notte, alla lettura del tuo scritto, ero rimasta sbalordita per un qualcosa, che mi era successo poco prima, su cui “ho giocato” nel primo commento a te diretto.
        sono perfettamente d’accordo con te sulla chiusura del cerchio.
        grazie, Alex.
        Love
        Gelsybel
        valido davvero il tuo racconto:-) è praticamente inutile scrivertelo, ma voglio farlo questa volta.

    • non so se lo sai, Gelsybel.
      Jezebel, dalla bibbia in poi, è la figura “divina” più controversa della storia.
      Ombra, Luna, Iside, Kali, diavolo etc.
      pericolosa, così come l’uomo “sente” la donna da millenni 😀

      • sì, Alex, lo so.
        pericolosa ed intrigante Jezebel!
        capto in me intensamente come l’uomo “sente” la donna da millenni. e sorrido con un sorriso “diabolico-divino”.
        😉
        Gelsybel

  3. Bella storia e la Susi, sai, non so perc hé ma mi è simpatica! Ah ah. Bello, autentico e sa di antico, di quelle cose che sanno di pulito. Chissà se tra hi-phone e l’altro i ragazzi di oggi hanno ancora quella sensibilità. Tu che dici?

  4. Per parlare dell’amore bisogna viverlo, desiderarlo, odiarne a volte gli aspetti crudeli, riconoscerlo (e non è facile) e, infine, crescere e poi voltarsi a guardare da lontano gli imbranati sentimentali che eravamo con tenerezza e senza alcun rimpianto. Questo hai fatto, quasi con pudore, e non si può non commuoversi. Il racconto di Maggiani me lo ricordo, e mi hai fatto venire una gran voglia di rileggerlo…..

  5. scritto molto bene, quasi rotonda la prosa direi. però a me piaci più ruvido (ma com’è evidente, non sono un campione di lettore significativo). però ogni tanto leggo confidenze e intimità lasciati in giro da mia moglie – confesso: sono un lettore compulsivo – e in qualche passaggio questo tuo mi ha riportato a (ma com’è evidente, per certi versi non è un dato negativo). però “piccola Susi” alla riga cinque già m’indispone irrimediabilmente, quindi tutto il mio delirio successivo e soprastante ne esce un po’ falsato.
    ciò che mi è particolarmente piaciuito del brano, invece, sono le scosse “tattili” sparse qua e là, assai efficaci nel comunicare il formicolio del corpo adolescente.
    (occhio, refuso: “un’intellettuale”)

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