No hay Fuga de Barcelona

 

Bacio_I_SegretiVedevo Xavier sullo scoglio a mezza costa, raggomitolato nella piccola sagoma d’ombra sfuggita al sole di pietra delle dodici. L’isola sotto era sparita. C’era solo lo sperone di roccia che galleggiava a mezz’aria e io con tutto il peso maldestro delle mie certezze sapevo che era finita. Precipitavo. Volavo giù a vite verso l’azzurro indifferente del mare.

Riapro gli occhi bruscamente, intorno a me gente che chiude gli zaini, che si scambia pacche sulla spalla e numeri di telefono in una babele di accenti diversi. In cielo m’appaiono le gru del porto di Barcellona, il traghetto comincia un lento giro di poppa.

Sto sdraiata ancora un po’ col calore del sole poggiato sull’inguine e una leggera vertigine che mi affonda nello stomaco. Ripenso alle parole, così come erano sfuggite un po’ per caso ieri notte, sotto il chiarore impressionabile della luna:

“Vieni sulle mie labbra Xavier, vieni quando vuoi, con il nome che più ami”.

Sospiro leggermente e caccio via l’immagine. La luce forte del sole mi fa sentire stupida.

Poi vedo lei. Sta poggiata a una ringhiera, lo sguardo lontano, dà poche boccate distratte a una sigaretta. La ragazza è esile, fianchi stretti e un gran seno che la sbilancia. Lunghi capelli biondi le piovono sulla pelle bianchissima coperta di lentiggini.

Mi dico che è ora di rifare lo zaino, così la smetto di fantasticare. Faccio un piccolo scatto di reni, molle caricate di pigrizia mi riportano indietro. Non ho voglia di scendere, non ho voglia di fare nulla a essere sinceri. Mi restano un pugno di pesetas e un pugno di ore di vacanza. Chissà che notte passerò a Barcellona.

Lei è sempre lì, seno in fuori, sposta il peso sulle gambe, guarda fisso la banchina che s’avvicina lentamente. Ha i capezzoli grandi, almeno il doppio dei miei. Capezzoli duri, da riempirci una bocca.

Infilo la felpa in una tasca laterale dello zaino, il libro nell’altra, prendo dalla sacca le scarpe da ginnastica e le tiro fuori, le infilo, comincio ad allacciarle. Poi

alzo lo sguardo e la trovo in piedi lì di fronte a me che sto chinata. C’è il sole basso accanto al suo viso. Dice piano: “Hallo…”

Mi chiede se conosco una buona Pensione economica dove passare la notte e se mi va di dividere la stanza con lei. Si chiama Hella, sta tornando da due settimane di vacanze. Ha fatto lunghe nuotate e lunghe dormite. Ha letto cinque romanzi e s’è annoiata.

Io sto un attimo ferma, un laccio a metà del nodo. Devo pur risponderle qualcosa. Mi chiedo come si fa ad avere la pelle così bianca dopo due settimane al mare d’agosto. Guardo la mia e penso che non è mai stata così scura. Mi sembra una grande rivelazione. Alzo gli occhi e sorrido.

Hella mi pressa da dietro nella calca disordinata che spinge giù per le scale del traghetto. Esco sulla gettata di cemento della banchina e mi guardo intorno, poggio a terra il borsone con la tracolla e mi massaggio una spalla.

Per un attimo rivedo la linea morbida del saluto di Xavier ondeggiarmi davanti agli occhi.

Hella mi viene di fronte, vicinissima, a sfiorare i capezzoli con i miei. Sorride e non dice niente. Io mi allontano di due centimetri. Dice che la conosce lei una buona pensione nel Barrio Gotico. Non c’è bisogno del Taxi. Bastano cinque minuti a piedi.

Durante la camminata stiamo zitte. Io continuo a spostare il peso della tracolla da una spalla all’altra. Dice Hella che pesano tutte allo stesso modo le borse di fine estate. Mi sforzo di sorridere e guardo davanti a me. Non lo so cosa sto facendo, e non voglio pensarci.

Dal lungomare prendiamo un vicolo annerito che dà sulla destra. Fatichiamo tutte e due sulla leggera salita dove poca gente cammina di fretta. Qualche bottega sta chiudendo, c’è un odore forte di pesce che galleggia su un fondo di marciume.

Hella va avanti di qualche passo, ancheggia leggermente, svolta a sinistra e poi a destra, procede spedita. Ogni tanto si gira e si ferma, mi aspetta.

Botteghe non ce ne sono più da queste parti, solo vecchi portoni di legno consumato e piccole finestre, qualche inferriata in basso da cui sale l’odore di muffa dalle cantine.

“Dovremmo chiedere a qualcuno, è quasi mezz’ora che camminiamo!” Dico io, buttando la borsa in terra. Mi fanno male le spalle e ho tutto il collo contratto.

Hella si avvicina.

“Non aver paura” mi dice in un soffio, vicino l’orecchio.

Ho un brivido di freddo, come una piccola scarica di corrente che mi attraversa uscendo dalla punta dei piedi. Hella sorride con mezza bocca. Adesso mi bacia, penso. Con poca grazia la allontano, riprendo il borsone in spalla e vado avanti. Giro a destra per un altro vicolo e vedo una luce gialla in fondo.

C’è un uomo che svuota un secchio d’acqua, davanti all’entrata di un locale.

Saluto ed entro. In fondo alla sala c’è gente che suona, i tavoli sono tutti liberi.

Mi butto su una panca di legno, faccio un gesto di richiamo.

Passa un po’ di tempo fino a quando non si avvicina lentamente un tipo malmesso con la barba di qualche giorno.

“Pensione Costa del Sol?” Gli domando io agitando la mano intorno a me e verso il vicolo.

Lui fa cenno di no lentamente con la testa.

“Si può mangiare qualcosa?” riprovo io alzando un po’ la voce.

Lui non fa nessun cenno, alza una mano che forse vuol dire: “Aspetta”, si gira e torna verso il fondo del locale. I due chitarristi si alzano anche loro e spariscono dietro una tenda.

Comincio a spazientirmi, ho le mani sudate e mi sento stupida, stupida e ansiosa, seduta da sola sotto la brutta luce al neon mentre cerco di razionalizzare il fastidio che ho dentro.

Hella. Mi domando che fine ha fatto Hella.

E penso che devo essere impazzita, che Xavier mi ha corrotto i sensi e che il contagio s’è esteso al cervello.

Infilo una mano nel marsupio e controllo di nuovo quante pesetas mi sono rimaste.

Penso che adesso mi alzo e me ne torno giù sul lungomare, dove ho visto una fila di insegne di hotel a buon mercato, al diavolo Hella, un attimo solo.

Chiudo gli occhi e faccio tre o quattro respiri profondi, sento una strana insofferenza alle gambe, metto una mano sotto il tavolo e la infilo nello spacco del pareo, la appoggio all’interno della coscia.

Sento caldo e umido e vibrazione.

Rivedo Xavier mentre prende una lunga sorsata di vino rosso buttando indietro la testa. Poi si avvicina con le guance gonfie e apre il bacio sulle mie labbra.

Io mando giù quello che posso e mordo le sue.

Il resto del Rosso ci ruscella addosso, ridiamo, poi lui si china e lo lecca via dai miei seni.

Facciamo l’amore come animali incoscienti, premendoci forte le carezze fino alle ossa del bacino.

C’è un suono leggerissimo alle mie spalle, come una specie di sibilo basso. Mi giro, ma non vedo niente. Di nuovo quel sibilo. Esco veloce nel vicolo. Lei sta appiattita nella rientranza di un portone, il viso si perde nell’ombra.

“Che c’è Hella, che succede?!” La prendo per le spalle e la scuoto.

“No bella, non entrare lì” dice lei in uno dei suoi soffi di voce. E ancora:

“Siamo arrivate, la Pensione è proprio lì, altri due passi, dietro quell’angolo”.

Stringo lo sguardo per cercare di leggere che espressione abbia.

“Hella mi devi dire che hai, che cavolo sta succedendo.”

La scuoto di nuovo, più forte. Hella viene avanti e m’abbraccia sotto la luce gialla. Sta piangendo.

Piccoli singhiozzi le sollevano ritmicamente il seno. Le accarezzo la schiena fino alla vita che mi sembra strettissima.

“Andiamo bella, ti prego…” dice quasi miagolando. Poi si scosta da me e mi guarda fisso, poggia le sue labbra salate sulle mie che non ce la fanno più a scostarsi. Mi bacia.

Per un attimo ancora vorrei andarmene ma non so dove.

Intorno a me una città intera fatta di locali e di gente e musica e vino che scorre a fiumi, e io quaggiù, nel Barrio annerito del porto con la pelle cotta dal sole, a farmi sedurre da una sconosciuta dalla pelle chiarissima, con poche parole e nessuna spiegazione e le gambe che mi tremano, le spalle che mi fanno male, la stanchezza che mi acceca.

Forse sono solo un po’ disperata, pensa una voce dentro di me.

Forse domani devo tornare a Formentera, dal mio Xavier.

Non so quanto tempo passa.

Un tempo in cui Hella mi fa scivolare dolcemente la lingua tra le labbra e viene a cercare la mia, rintanata in fondo alla bocca.

Poi mi infila le dita tra i capelli e stringe la nuca, la friziona leggermente, prende possesso della mia testa e la scuote con autorità.

Si sentono voci alterate, c’è una finestra che sbatte pesantemente proprio sopra di noi.

Mi sciolgo dalla presa e guardo dentro il locale. Non si vede nessuno.

Rientro di fretta e raccolgo le borse.

Mi guardo ancora in giro ed esco.

Prendo Hella per un braccio. La voce mi si rompe.

Riesco solo a dire: “Andiamo…”

Ecco. Ho spento la luce perché è insopportabile lo squallore di quella lampadina

sporca che pende dal soffitto. Il ragazzo che ci ha dato la chiave ha voluto i soldi subito, non ci ha chiesto nemmeno i passaporti.

Sento cigolii di reti sopra di me e voci soffocate, porte che sbattono, passi di fretta lungo il corridoio che dà sulle scale sporche. Chiaro che siamo finite in un

bordello.

Hella ha evitato di guardarmi e s’è infilata subito sotto il tubo di gomma che fa da doccia. Io ci ho rinunciato.

Non c’è altro da fare che addormentarsi, mi sono detta.

Ho tolto il pareo e mi sono buttata così com’ero su questa specie di branda tutta incurvata. La spossatezza mi aiuterà ad addormentarmi presto.

C’è Xavier ancora nel tremolio di immagini ipnotiche prima del sonno.

Xavier che ride mostrando la gola. Xavier che tenta di dirmi qualcosa.

Poi il cigolio della porta del bagno e i passi leggeri di Hella che si avvicina al letto. Mi giro verso il buio dalla parte opposta.

Cerco di riafferrare il profilo di Xavier.

Hella fa un sospiro e si stende dalla sua parte.

Scivola lentamente sulla curvatura della rete fino a me. Sento il calore del suo corpo che si poggia docile sulla mia schiena.

Una gamba cerca di infilarsi tra le mie. Resisto.

Poi le mani vengono a giocare con i capezzoli. Stringono. Sussulto.

Apro leggermente le gambe prima di contrarmi forte ma la gamba è passata. Il ginocchio spinge all’altezza del pube.

E’ forte Hella. Forte la sua stretta, forte il suo fiato corto contro l’orecchio.

Un’illusione la sua figura esile.

Comincio a muovermi per liberarmi. Cerco di trasmettere forza a braccia e gambe ma non succede niente. Solo le spire di Hella che s’avvolgono più strette.

Sto per soffocare ma non ho paura.

Non lo so che mi succede ma non ho nessuna paura.

Poi la tensione si spacca, improvvisamente. Vengo travolta dallo stupore dei muscoli che si sciolgono, delle articolazioni che si liberano, di forze oscure che deragliano dentro di me.

E per un attimo sparisce tutto.

Un lungo interminabile attimo che registra solo lampi e calore e vibrazione e correnti che s’avvolgono, fluiscono e rifluiscono come ondate altissime di un mare maestoso, denso come una pasta.

Affogo dolcemente in assenza di luce, all’oscuro di me.

Mentre riprendo coscienza mi accorgo che i colpi alla porta durano da un po’ di tempo.

Salto giù dalla branda, apro due fessure d’occhi e vado verso la porta.

C’è un tipo dai modi sbrigativi che mi guarda di traverso. Mi chiede che cavolo sto facendo, dove ho la testa. Sono due minuti che bussa e stava per sfondare la porta.

Poi dice che è tardi, tardissimo, che devo lasciare la stanza, subito.

Mentre torno verso il letto mi accorgo che la luce dalla finestra è quella di un sole alto. La sveglia che non ho sentito, poggiata accanto alla branda, mi dice inequivocabilmente che ho perso l’aereo.

Poi guardo la branda. Vuota.

Vado in bagno. Nessuno.

La borsa di Hella è sparita. Per un attimo mi sento perduta.

Torno di là. Solo i miei bagagli per terra e un groviglio di lenzuola fradice di sudore.

Tiro via i cuscini e trovo una pagina di quaderno.

Mi trema la mano. La mano, Xavier, la mano con cui lentamente avvicino agli occhi il foglio.

C’è la tua scrittura laggiù, la tua scrittura dal segno dolce, irregolare.

Poche parole deformate, lettere di grandezza diseguale.

Ho perso l’aereo, Xavier.

Vieni quando vuoi”.

Non ho nemmeno bisogno di leggere, ho perso quell’aereo Xavier, e voglio pensare, pensare a domani.

*

Geosmasher

in libreria, su Ibs.it e sul sito dell’editore: http://www.edizionismasher.it

 

6 risposte a “No hay Fuga de Barcelona

  1. wsf non mi permette il like, quindi l’ho messo qui. uan is megl’ che ciu.
    ps. ste anticipazioni mi levano un po’ di libro ogni volta, mica è giusto. ps2: ho dormito quasi niente stanotte, mannaggia a te, mannaggia. 🙂

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