C’era l’Ammerica, stazione Termini.

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Io, te, il fantasma delle cose buone, tutta la bassa manovalanza natalizia che riesci a immaginare invade le strade, adesso. La folla ancheggia tra il marciapiede stretto, sporco, e le nuove bancarelle della deflazione critica stabilizzata. Stazione Termini irride quei vuoti di speranza che ognuno porta al proprio alberello anarchico, mangiucchiato, in un giorno di caldo sole pieno che spinge i germogli delle piante su un precipizio di natura effimera.

Sto fuori dal Mac appoggiato a un muro in tutta questa realtà traslucida che mi deforma, cedo una volta al mese al sadomasochismo da Cheesburger, oggi è un giorno di quelli. Pakistani incazzati mi sfiorano slargandosi dalla folla, un nigeriano conta le monete e si interroga più volte, domanda all’insegna poi alla propria mano aperta, due o tre volte, trasognato.

A due passi da me, avvinti intorno a un guappo con la moto di traverso, tre o quattro guaglioni anneriti del tipo che frequenta le bische tra Aversa e Frattamaggiore, personaggi incredibili come quelli delle serie televisive di Gomorra, sboccati, arroganti, appuntiti, fraseggiano stretto a voce alta su qualche tipo cui devono rendere una sorta di sgarro, stanno muovendosi ora, c’è un’aria sospesa, scura, tra elettricità e furto di galline.

Finisco la merda che sto avidamente mangiando e torno a vedere di quanto è scalato il numero della mia pena in coda alla biglietteria, dentro il grande atrio della stazione. Passo di nuovo in mezzo alle truppe schierate dei rompicoglioni della stidda camorristica, gli stessi dieci-quindici di un’ora prima, di qualche settimana fa, di qualche mese a questa parte.

Non è che facciano nulla sti bravi guaglioni oltre a cercare di apostrofare i passanti, hey mister, ti faccio risparmiare tempo, questa biglietteria va bene milady, questa no, tanti auguri, venga accà. Ciò che sconcerta e accende è l’impressione netta dell’efficienza organizzativa con cui controllano una folla che si sposta rapidamente dentro centinaia di metri quadri di spazio, questo e la totale assenza di forze dell’ordine, nemmeno il blando presidio esterno di una civetta annoiata.

Passa un’altra mezz’ora in cui una parte di me ha capito bene in che mondo sta vivendo, quella coscienza di un tempo sociale feroce, di modelli di efficienza dell’illegalità, di spartizioni di aree di interesse pubblico, faccio il mio cazzo di biglietto come un automa e rientro nel me quotidiano, che tira a campare.

Esco sul fronte dei Taxi in mezzo all’anarchia fatta persona, lo stato di Roma si esprime nelle false cortesie arroganti delle voci napoletane che si rincorrono tra i turisti attoniti in attesa di una macchina e non c’è nulla da fare.

Sul grande albero di Santa dove stanno impiccati provvisori i si-salvi-chi-può, i messaggi canonici di ingraziamento della sorte natalizia, c’è l’imbarazzo della scelta: frasi stupide, ridondanti, arroganti, simpatiche, improponibili.

Ce n’è una che, alla fine, m’ha spezzato davvero le gambe.

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6 risposte a “C’era l’Ammerica, stazione Termini.

  1. Ti vedo mangiare il cheesburger come se fossi al cinema, pronto a raccontare il mood stralunato della stazione…. Termini è un circo, ma lo spettacolo non è tra i più piacevoli, io stessa tempo fa ho litigato con un camorrista Caronte che gestisce e smista le corse dei taxi e decide in base a chissà quali parametri quale tassinaro si merita la corsa lunga con annesso giapponese da spennare e quale invece deve beccarsi la corsa da 8 euro…..
    E poi l’albero…. Quell’albero funziona come un magnete d’anime, potrei perderci un pomeriggio e perdermi io stessa tra le parole, i disegni, i sorrisi e le lacrime che lo decorano ogni anno…..

  2. Caspita che tristezza. Pensavo non più di un’ora fa in ambulatorio che c’è gente che vive proprio delle vita di merda, cazzo.

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