Madre ha detto a Padre di levarsi dai piedi; io non ho capito bene come può fare uno a togliersi i piedi, ma la faccia di madre mentre lo diceva sembrava quella di una grossa bestia cattiva, incandescente.
Poi madre ha rotto un piatto, madre ha lasciato andare a terra pure il bicchiere e la forchetta e il coltello di padre. Il coltello è rimbalzato ed è venuto dritto verso di me, come l’Uomo Ragno quando si lancia da un palazzo all’altro. Allora io mi sono nascosto sotto il tavolo, vicino al mio amico con la faccia di teschio. Lui m’ha guardato serio serio, come dalla prima volta che l’ho visto.
Teschio è apparso un giorno in cui madre e padre ancora non litigavano. Adesso mi guarda brutto e io lo so, nemmeno uno spaghetto da mangiare gli ho portato, nemmeno un cucchiaio di sangue. Nemmeno un racconto incredibile di quando vedo madre messa come un pupazzo sul letto che urla e padre da dietro che la colpisce duro con la pancia bassa, e sono nudi, orribilmente.
Sto accucciato qui sotto il tavolo della cucina, allungo il mio braccio di gomma e raccolgo il coltello, lo do a Teschio. Da sotto in su vedo padre che va dietro la porta di casa come fa tutte le mattine. In genere ci sta tutto il giorno lì fuori, chissà come s’annoia senza fare niente. Un altro giorno s’è perso, non è così che funzionano le cose. Non è così che si urla, non ci si spinge così prima di andare a lavoro. Bisognerebbe guardarsi un attimo, solo un attimo, come se fosse tutto sempre natale.
Dice Teschio che non lo può andare a riprendere padre. Dice Teschio che me l’aveva detto dall’inizio che andava a finire così, perché lui sa tutto e io devo stare solo zitto. Lui ha il coltello, adesso più nulla ci separa a noi. Ci mette pure una strana musica paurosa di carillon sotto.
E’ passato del tempo, anni o giorni, non saprei.
E’ venuto un tizio strano, somigliava a padre, per certi versi, per altri no. Ha bussato alla porta con una mano. Madre è andata ad aprire e sembrava la madonna dei santini con la faccia triangolare e gli occhi al cielo e tanti respiri che faceva senza che ce ne fosse davvero bisogno.
Lui è entrato con piccoli passi. Lui è più piccolo di mamma, dice Teschio che sta di là perché io di qua non mi muovo, no, non mi muovo, così m’ha detto di fare. Posso solo dondolarmi ogni tanto con le braccia chiuse sulle ginocchia per scacciare le mosche del paradiso che vogliono portarmi via. Quando arriverò a 437589302216 dondolamenti è praticamente certo che padre tornerà dalla porta. Oppure qualche altra diavoleria. Parola di Teschio.
Adesso madre ha preso le mani di quel tizio nuovo che è entrato. Sono andati avanti così per un bel po’, muovendosi a scatti in giro per la stanza come fosse una brutta danza. Poi sono venuti in camera mia con due facce che sembravano i Simpson, solo più preoccupati.
Lui m’ha fatto sorridere, m’ha toccato più volte, ha provato a fermare il dondolio con le braccia forti benchè piccole. M’ha detto un sacco di cose piene di “ti ricordi”, il mio falso padre, cose veloci veloci, cose lente, strascicate, basse e alte come una trombetta.
Io per non perdere il conto del dondolio non ci ho capito un’acca. Se non che m’ha fatto una gran pena tutto quel suo affannarsi e il silenzio che li guardava male in faccia dal basso del pavimento mentre uscivano a capo chino dalla stanza. Teschio l’ho chiamato, ho provato a dirgli di fare qualcosa lui che può. Ma lui non glie ne frega niente. M’ha riso in faccia tintinnando le ossa a croce, m’ha solo detto che s’erano chiusi di là e avevano pianto come martiri un po’ fessi.
E pure che alla fine lui aveva sbattuto madre nuda sul letto e ci aveva giocato in quello strano modo doloroso con la pancia. Dice Teschio che quel tizio non è mio padre padre, che anche se lo penso non lo devo dire a nessuno, altrimenti l’altalena durerà in eterno e le mosche del paradiso mi mangeranno tutta la carne.
Poi è venuto fuori dalla porta un altro signore cui madre ha chiesto subito altre pasticche per lei e per l’altro padre che non si dice. Il signore invece ce l’aveva con me, m’ha ascoltato il cuore e il respiro, m’ha sbattuto un martello giocattolo sulle ginocchia, m’ha acceso una piccola torcia dentro l’occhio e Teschio rideva, rideva e tintinnava. Perché non ce l’ha fatta a mettermi la spada di Guerre Stellari nella pupilla, troppo preso io a contare.
Avanti e indietro.
Avanti e indietro.
Avanti e indietro.
Il signore s’è spazientito e Teschio s’è scurito. Dice che il signore è un imbecille, che ha pure studiato per diventarlo. Gli ho visto fare la brutta mossa di salirgli sulle spalle, vuol dire che stasera Teschio starà fuori di casa perché ha le sue cose scure da compiere.
Ha detto che ha bisogno di nuove amicizie ma non perché si sia stufato di me, no. Teschio ha sentito sulla giacca del signore un certo preciso di bambino odore.
Madre pelouche poi ha preso i due foglietti strappati dalle mani del signore e ha ringraziato tre o quattro o cinque o sei o sette volte. Padre che non si dice mi guardava come Paperone quando gli rubano la Numero uno. Pare che a scuola non ci debba più andare, gli altri bambini si distraggono troppo e la maestra non ha più sangue nelle vene né tempo da perdere.
Prima di uscire il Teschio s’è girato ed è riuscito a farmi l’occhiolino anche con l’orbita vuota. Pare che presto faremo tutti un bel viaggio, io e lui e madre peluche e padre che non si dice e persino il signore spazientito che ha studiato. A me non me ne frega niente, basta che non mi si disturbi con i conti, ho detto io, che non manca poi molto.
Adesso invece, tutta quest’acqua che mi culla qui, somiglia proprio a prima quando stavo lì e aspettavo, irretito nel linguaggio dei filamenti, con la testa di ET e gli occhi giganti.
Dice lui che adesso può cominciare a spiegarmi un bel po’ di cose. Vedo quella madre e quel padre e quel signore sporgersi dal bordo della vasca verso un umano trasparente che nuota e mi sorride e mi guida nell’acqua. Teschio ha fatto si che questi ultimi giorni andassero bene per tutti. Ho sorriso a quella madre, mi sono lasciato fermare qualche volta dalle braccia piccole di quel padre, l’altro signore s’è perso in lunghe conversazioni preoccupate con il proprio orecchio.
Dice Teschio che posso smettere di contare, che la realtà non è quella che pensano loro e nemmeno ciò che potevo immaginare io. Che padre non ce la farà a tornare e io devo trovare il mio posto, da solo. Dice poi che non sa se riuscirà a togliere il coltello dalle braccia di madre, può darsi che il sangue debba riempire il cielo fino a rendere le lune rosse, ma che sarà meglio per tutti, che nessuno comunque saprà o potrà fiatare nulla.
In realtà, non vedo più Teschio e nemmeno l’umano trasparente. Come avverrà non lo so, ha detto Teschio che nessun coltello mi verrà più a cercare. Avrò la pelle lucida, potrò saltare e squittire e nuotare pure io per tutto il tempo che voglio o fare qualsiasi scemenza mi passi per la testa.
Ha detto che il bambino che tireranno su tra qualche minuto sarà perfettamente funzionante e loro lo scambieranno per me, nel rispetto del mondo. Non sanno che avrà un cuore tutto mangiato, il riflesso pauroso di un cuore sottinteso.
smettere di contare, sì …
intanto, parole senza suono, l’immagine sta