Antefatto – Pensa che sei un po’ figlio di questo triangolo nostrano qui: un autista parlamentare schizzato di ormoni, uno che per hobby fa il regista di Porno amatoriali; una senatrice mascolina e dubbiosa, insicura come un tabellone di Trenitalia, una che deve tutto al solito padre-padrone politico; e poi il senatore Brusegan, uno squaletto tradizionale che scoda nell’oscurità profonda dei solenni poteri di casa nostra.
https://aereoplanini.wordpress.com/2015/03/05/moby-dick-un-sogno-italiano/
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Marino, intanto, mentre è impegnato a sgommare con tutta l’Alfa blu nervosa, s’immagina un bel primo piano di lui che spoglia sfacciatamente la senatrice Prisca, della pelle di lei che rabbrividisce, delle facce ormonali, congestionate che si scambiano prima di precipitare in un viluppo di aderenze innominabili.
E si immagina lì vicino tutto un florilegio di chiappe scolpite in bella posa, sotto il calore apparecchiato dalle luci alogene, e mucchi di tette gonfiate, schiacciate su toraci pelosi, grovigli di mani che frugano, traggono e conducono, estremità arrossate che producono umori, suoni acuti e suoni di gola, a produrre quelle belle scariche d’adrenalina compressa di cui Marino è un cultore maniacale.
Non fidarti della croce del sud, la caccia non finisce mai.
Dormi Moby Dick, spegni le ali e dormi sicura se vuoi,
tanto i cavalieri del Santo Graal, non ti raggiungeranno mai.
La Fiat dei vigili che gli apre la strada s’infila velocemente tra le colonne di macchine contrapposte con la sirena sciolta a dirotto. Marino segue a zig-zag, con una mano sul volante e l’altra tesa ad agitare la paletta d’ordinanza.
Sprofondata sul divano posteriore, con il fascicolo dell’emendamento che spacca la risma e le precipita ai piedi, Prisca Sangiulio sta per avere un attacco di panico. O almeno starebbe per averlo, se si fosse lasciata il tempo di vestirsi negli armadi collettivi delle donne, nei Sex and the City accorati della tarda sera, col sostegno fiaccante delle amiche al telefono. Invece nulla, altro da fare aveva che comportarsi da donna, altro che la solita deriva uterina e masochista, con tutta la lagna scura che ne consegue.
Prisca, se dobbiamo essere sinceri, sente che sta per capitarle un qualche genere di sfogo, com’era tanto tempo che non le succedeva.
Tutta l’arroganza dell’autista di stato, quel suo lieve sorrisetto a deriderla, e le mattane di Brusegan, le notti in bianco e il maledetto emendamento strategico per cui Prisca ha già rischiato tutto, in prima persona, per mantenere coperto il gioco comandato del suo prezioso capo bastone.
E poi quei maledetti giri di valzer acrobatico che non capisce, che la confondono, quel soffiarsi le cose che contano in emiciclo tra una smentita e una contro-replica, rispetto alle cui volatili logiche di cordata si trova sempre disallineata come un’eterna liceale col problema di chi l’inviterà a ballare.
E il Paese Reale, dove lo metti? Tutte le dinamiche profonde che le sfuggono, la distanza strategica di un passo dalle decisioni importanti cui la tengono sempre, ammesso poi che esista davvero una cosa astrusa come un “paese reale”. Forse è meglio dedicarsi ad altro.
Adesso, improvvisamente, Prisca è consapevole che, giusto sotto i suoi miracolati glutei di quarantottenne in carriera, l’Alfa blu di stato è lanciata giù per una lunga discesa alberata, subito dopo gli archi delle mura aureliane, a una velocità che le strappa i nervi da sotto la pelle, nel segno in una follia che le pare ancora più grave. Perché lei ci sta proprio sopra. Perché gode pure di autorizzazione e immunità istituzionale.
E danzerai sopra una stella marina,
e danzerai colpendo al cuore la luna,
chi impazzì, dietro a te, non tornò mai più.
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Bru…! …Fammi la cortesia…oh, Marino!…
Bruio lo vede in un angolo di specchietto, il taglio brutto degli occhi, le lenti a specchio sollevate sulla fronte tozza. Bruio nemmeno la guarda.
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Bruio, cristo..! Esigo…che rallenti. Subito! Bruio, questa me la paghi. Giuro che ti faccio rasare il pelo da Brusegan…grandissimo testa di cazzo!!
Bruio non ci sente. Intorno, le ali della capitale si sollevano come foglie secche sulle scie laterali dell’Alfa che si slancia.
Prisca vede la gente saltare spaventata sui marciapiedi. Vede i vigili agli incroci che fischiano e sbracciano e bloccano i serpentoni intruppati delle macchine per farli passare. Vede i rami dei platani che spezzano la luce e l’ombra sui suoi occhi al ritmo insostenibile delle lampade stroboscopiche. Come se adesso ogni cosa del mondo fosse animata da una velocità pazzesca, costante e perpetua.
Prisca ha l’impressione che le manchi nulla, davvero, prima di perdere i sensi. E non si tratta più nemmeno della velocità, della brutta maschera di Bruio che rivela tutta la grinta del drogato di stato.
Mentre nella furia dei cento chilometri orari comincia a non distinguere più gli autobus dalle macchine, gli alberi dalle facce della gente, Prisca sente una nuova punta acuminata che affonda nel proprio corpo, in ciò che di straniero, d’irrazionale e infidamente somatico, la propria chimica biologica sta preparando beffardamente per lei.
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E’ quella voce bassa e rauca delle faccende critiche di Brusegan, la prima cosa sensata che la riporta in vita, dopo tutto quel buio che le ha cancellato di dosso la memoria nitida delle ultime ore.
C’è quel profumo dolce di olio di legno che la conforta, Prisca capisce di essere arrivata a palazzo Madama, tra i mogani pregiati del gabinetto privato del proprio capogruppo.
Prisca allunga una mano incerta sotto si sé, tocca il dorso rigido della barella su cui sta sdraiata.
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…Si, appunto, è proprio da questo che ci dobbiamo difendere, Guarini, santiddio, non me lo fate ripetere un’altra volta!
L’emendamento. Ovvero la protezione preventiva del culo di tutti. Di questo si tratta.
Ora Prisca si sente un po’ meglio, capace quasi di riprendersi tutta l’incoscienza dorata che serve nei momenti delicati della vita pubblica del nostro paese.
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Vuol dire, mi si passi la metafora, che dovete smettere di far funzionare quelle quattro intelligenze da bidello che vi ritrovate…che non son momenti questi…che poi…Ohi, allora!…Statemi a sentire! Voglio dire che ognuno si deve schierare come abbiamo concordato nell’ultima verifica…Sono stato chiaro…?!?
Prisca sente sbattere giù la cornetta. Sente Brusegan fare avanti e indietro per lo studio sbuffando, prendendo a calci le sedie che incrocia. E si domanda se, in fondo, non sia il caso di rimanersene ancora un po’ sdraiata, immobile, con questi riposanti occhi chiusi che la proteggono.
Ma avverte anche qualcosa di strano che le sta avvenendo tra le gambe, proprio in questo momento, cristo santo. Qualcosa le sembrerebbe pure di ricordare se si sforza, un bolo confuso e una sensazione che la squassa, nella nebbia ancora fitta di ciò che può essere stato.
Tuttavia sembra star lì appostato dentro di lei, quel qualcosa di viscido e orribile che sta colando fuori.
Mio dio. E’ proprio fuori.
Mio dio. E’ proprio lei.
Un sudore gelido le passa lungo tutta l’estensione della schiena irrigidita. Poi un’emozione cieca la travolge, le fa friggere e scattare tutte le articolazioni come fosse un povero corpo vivo abbandonato in un cassettone dell’obitorio.
Prisca, adesso, è tutta quella marionetta di furia compressa che trema, mentre rinviene sotto lo sguardo di bottegaio inquisitore di Brusegan, che ha smesso di scalciare il mobilio dello studio e le si è avvicinato con circospezione.
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Oh, Prisca, finalmente! Grazie a dio è di nuovo dei nostri. Meno male che era con Bruio quand’è svenuta. L’emendamento è già stato consegnato. Non deve preoccuparsi di nulla, salvo che di quei tre coglioni dei suoi compagni di corrente che speravano di farla franca…
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…Bru…Bruio!…onorevole…la prego, devo vedere un medico…
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Mi ascolti, Prisca. Adesso, non appena si sente in grado, lei viene con me in sessione d’aula e mi dà una mano a controllare che, nei doppi giochi contrapposti, non vada perso nemmeno un voto…
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O-O-Onorevole…mi dia…una mano…
Brusegan ha uno scatto, un paio di suonerie hanno preso a scampanare, la porta dello studio intanto s’è aperta, proiettando dentro tutto l’affanno vociante dei corridoi e la stazza bovina di Bruio, che si incastra perfettamente nella cornice della porta.
Prisca chiude gli occhi, a estrema difesa dalle lacrime che le sbocciano rotonde sotto il filo delle palpebre bistrate.
Prisca stringe i pugni, ce la fa con un’ultima occhiata, appena, a vedere la manata da centurione che Brusegan rifila affettuosamente allo spallone di Marino Bruio. Lui, di rimando, sorride come un cefalo riconoscente. Poi la porta che si richiude con uno slancio rumoroso. E il silenzio mostruoso che ne consegue.
Adesso forse, si può ipotizzare, a far passare qualche altro minuto, Prisca magari si sentirebbe pure in grado d’alzarsi.
Poi si vede di corsa in bagno a rimettersi in un sesto sufficiente, e magari andarsene direttamente alla reception per farsi chiamare un’auto blu, e puntare di corsa verso lo studio dell’avvocato Giannitri, un caro amico di vecchia data paterna, o forse in clinica prima di tutto, già, che razza di cretina che è, ma quale bagno! Al primo soccorso deve precipitarsi, per farsi rilasciare un chiaro certificato di accertamento dell’episodio, una qualche carta che potesse rendere quell’allucinante storia evidente ai propri occhi, innanzitutto, perché Prisca, ancora, fa una fatica dell’anima a prestarsi fede.
E anche perché se così fosse, dio santissimo, le si perdoni la franchezza, lo sperma di Bruio, a questo punto, potrebbe davvero avere un valore inestimabile, quasi una sindone.
Prisca Sangiulio tiene ancora gli occhi chiusi, un po’ meno serrati di prima, però.
In fondo, non è che soffra quella croce che si sarebbe immaginata, se prova a ripensarci un po’, rendendo docile la mente, facendo scorrere le immagini alla moviola. Rigore c’è stato, chiarissimo, comunque.
Con quel po’ di lucido orgoglioso che le risorge, in effetti, le si piazzano dentro alcuni di quei pensieri indefinibili, suggestivi, sensazioni come strani accostamenti di temperature, il dubbio sul da fare in un caldo e un freddo che sorgono, alternativamente, al centro del petto strapazzato.
E l’incertezza di ciò che avrebbe voglia di fare davvero, alla fine, di tutta questa roba ancora incandescente, va a sapere.
Prisca controlla l’orologio, si solleva dalla barella mobile come se un giorno preciso l’aspettasse al suolo, dove i suoi piedi nudi si poggiano cautamente.
Fa tre passi, abbastanza dritti, verso il telecomando poggiato sul tavolino basso, davanti al grande schermo al plasma.
Prisca, senza imporsi decisioni impulsive, decide solo d’abbandonarsi alla soffice piuma della poltrona massaggiatrice, mentre parte contestualmente la sigla della diretta dei servizi parlamentari.
Il deputato Ceracchi dell’opposizione, completo grigiastro dal taglio banale e qualche chiazza d’autentico sudore, uno che di solito funziona da antenna e altoparlante dello zoccolo duro degli interessi trasversali, è pronto a sacrificarsi nel fuoco d’attualità dell’intervista che si prepara.
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(Chi ha avuto la compiacenza di seguire fin qui deve sorbirsi anche la cornice di questa storia dal finale incerto. Scritta nel 2007, forse, resa obsoleta poco tempo dopo dal montare, è proprio il caso di dirlo, del gigantesco affare che il Nano stesso proponeva alle ragazzine in villa. C’era un finale provvisorio, un po’ Santoriano, tant’è nel prosieguo)
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Onorevole Ceracchi, i presidenti dei gruppi parlamentari hanno fatto trapelare l’informazione che nessuna sorpresa è più possibile, ormai, sull’emendamento Brusegan. Se la sente di lasciarsi andare a una prima valutazione politica della nuova situazione che s’è creata?
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Credo di poter dire che oggi, alla luce del progetto politico sviluppatosi nelle ultime settimana attraverso gli schieramenti e sancito dalla votazione dell’ultimo emendamento, per il parlamento e per il paese tutto si prospetti una fase del tutto nuova. Un vero e proprio rinascimento politico, direi, che apre la strada a una stagione di impegni riformisti su larga scala.
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Questa è un po’ l’impressione generale che ognuno ne ricava, in effetti. Ma lei, onorevole Ceracchi, sempre se se la sente, vuole ancora smentire il credito alle voci che si sono diffuse negli ultimi giorni? Lei mi capisce?
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Non so a quali voci si riferisca, guardi…
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Ovvero che il nuovo accordo di unità nazionale sia in realtà sostenuto da uno schieramento centrista, trasversale, che intende riportare in vita l’esperienza e il progetto politico della vecchia Balena bianca, la DC?
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Veda, qui non si tratta di fare del motteggio gratuito, abbiamo nelle mani l’interesse del paese. Si immagini che è come se la politica scendesse di nuovo, dopo tanti anni di aggiustamenti, al livello dell’interesse del singolo cittadino, questo bisogna chiarire, fermamente. Il beneficio, collettivo, dell’intero sistema paese.
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Va bene. Ma, al di là di tutto, onorevole, lei si sentirebbe di sostenere la candidatura Brusegan alla prossima presidenza del consiglio dei ministri?
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Mi sembra del tutto anticipatorio porre la questione in questi termini. Comunque, le dico, non mi sentirei di escludere del tutto l’argomento. Ogni cosa al proprio tempo.
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D’accordo. Ma non le sembrerebbe, comunque, una mossa azzardata, considerando le questioni di rilevanza penale che hanno visto coinvolti, ultimamente, alcuni stretti collaboratori di Brusegan?
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Voglio ricordare che il tema del garantismo è uno degli argomenti all’ordine del giorno dell’agenda riformista condivisa. Credo che gli accusatori prezzolati, piuttosto, rischino tutti di fare un clamoroso autogol.
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Bene. Ringraziamo l’onorevole Ceracchi. Facciamo un primo break, poi continuiamo con la diretta.
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Ora possiamo scioglierci il nodo alla cravatta.
Grazie Moby Dick, è stato bello averti qui.
Dove saranno, adesso, tutti gli amanti che hai?
Te la senti di rispondere?
Tu sei grande, Moby Dick, come una regina madre segui le stelle di logge che vuoi, confondi il pubblico col privato, diremmo, nascondi i grandi e i piccoli destini delle cose nelle mosse inconsapevoli di chi sai.
Oppure, forse, sarebbe meglio che la Sangiulio e noi tutti, una buona volta, ci facessimo passare le scalmane dalla testa?
Eppure così dolce appari sempre, Moby Dick, così lasca la memoria e il perdono che rappresenti, tu rechi il conforto dei sanatori a tramonto, con tutti quei bagliori lunari d’argento aggrappati al tuo dorso, con tutte le feste sotto i campanili che gravano sulle piazze fiduciose del paese.
Lo sai che non conviene, che nessuno t’ha baciata mai, davvero.
Al massimo qualche servizietto qua e là, tra bouvette, ministero ed emiciclo.
La regina ha senso solo in quanto riproduttrice silenziosa di stirpe. E’ questo che alla fine conta, davvero. E anche che nessuno, sul serio, avrebbe mai creduto nemmeno per scherzo al bacio di un politico di rango sulla guancia della nostra cosa.
Sei stata forte, Moby Dick, a sostenere l’onda maestosa della dimenticanza, della prescrizione, della transumanza profonda di coscienza.
In mezzo a questi che invitano le piazze a non fidarsi, che gridano il male di scendere a patti con quella croce, con quella croce che viene dal sud.
Come potremmo mai fare a meno, noi tutti, di quella tradizione storica, meridionale, che sentiamo profondamente nostra?
La caccia non finisce mai.
La caccia non finisce mai, dicono, questi quattro gatti rimasti.
Tu non te ne curare, Regina madre, tu che sai lascia che credano ciò in cui vogliono credere.
Che solo ci si ricordi che, a danzar sopra le stelle marine, a danzare troppo scosciati, quello è un esercizio che logora, che logora chi non ce l’ha.
E’ inutile raccontarsi le storie. Chi impazzì dietro a te, sia chiaro, non tornò mai più.
Mai più.
Al di là del meraviglioso backstage delle politiche allucinazioni che tu hai tratteggiato con pennellate impressionistiche, il cuore di tutto sta nelle quasi dolenti considerazioni finali.
La Balena non è mai morta, noi siamo il plancton che la nutre, e quindi la balena siamo noi. Il cosiddetto “paese reale”……
Il Real Paese delle Meraviglie, hai chiostao bene 🙂