Il Mondo nel raggio di Duecento metri (Moleskine di viaggio I)

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I rumeni del bar di piazza Teofrasto parlano il romanesco meglio dei romani di quartiere, davanti alle Peroni delle sette di mattina e delle sette della sera, schizzati di eterna vernice, li trovi serafici che trasmutano le coppie di consonanti in vocali e troncano e appoggiano la tipica stanchezza fonetica con una grazia superiore alla nostra. I rumeni ci sopravviveranno, armati di quell’incrollabile Zelig che li abita, qui, e che pretende una fratellanza a ogni costo, ci stanno già sostituendo negli snodi nevralgici di un mondo che si piega alla crisi infinita. Un esercito di badanti della nostra vecchiaia e i loro mariti, esperti navigatori di macerie. Son partiti del basso ma son testardi, i fratelli, da ricostruirci un impero Rumeno low-cost con il cartongesso, le cazzuole e la pittura muraria, giurerei. 

Nel tratto assolato di via delle Palme è appena avvenuta l’eterna rinascita del locale che fa quasi angolo col viale commerciale dei Castani. Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare che questo posto è una bufala, un miraggio, che “dietro l’angolo di un viale commerciale” può equivalere a “distante come la luna”. Qui, nell’ultimo lustro e in rapida sequenza, sono già vissuti e morti di dimenticanza i sogni di pasticcerie, piadinerie, mangiarini slow mediterranei, libanesi e pizzettari di Torre Maura. Da qualche settimana ha riaperto nientepopodimeno che Chicken Hut, ovvero quattro industani muslim sdruciti che passano la giornata a dormicchiare sulle sedie del locale regolarmente vuoto e che ci scommetterei, dureranno invece, così come scommetterei che potrebbero tranquillamente essere una cellula di pollo dormiente dell’Isis, pronta a friggere qualcuno dei nostri.

I cinesi rimangono un mistero ambiguo e trasversale, ce l’ha il quartiere e ce l’ha il mondo, in replica seriale identica, ovunque. Le loro cazzabubbolerie ricordano vagamente i nostri casalinghi anni 50 avendo integrato il canone del “dopobomba” e quello del radical-kitch. Alla fine sono comunque irrinunciabili e inquietanti, un vero specchio dei tempi, ogni cosa a metà prezzo e tutto soffuso di quel melange tra piacere per l’affare e un’ansia anticipatoria che la cosa si spacchi, al primo uso un po’ avventato, oppure che il piatto da 50 centesimi possa rilasciare diossina meglio di una multinazionale tedesca.

Se hai un terrazzo al quinto piano puoi dominare l’etere ed accedere ai misteri di un altro mondo. Regolari come un muezzin della sfaccimm’, tre volte al dì i camion della bassa manovalanza camorrofilica armati di potenti megafoni annunciano il verbo delle verdure napoletane, con particolare rilievo e fervore al tramonto, quando devono rientrare ad Aversa e hanno i cassoni ancora semipieni di cocomeri frollati. Con la luce che indora sull’orizzonte, allora, si crea quello strano fenomeno Cybor-partenopeo degli echi metallici che si rincorrono e sovrappongono nell’etere insieme alle urla dei gabbiani monstre di ultima generazione. E’ allora che mi piace uscire e dare acqua alle piante, intorno diresti di navigare un inquieto film di fantascienza distopica, senza nemmeno farti gli occhi appalla di streaming in rete.

6 risposte a “Il Mondo nel raggio di Duecento metri (Moleskine di viaggio I)

  1. e si… il confine fra distopia e utopia ormai è una linea sottilissima: basta guardare o da una parte o dall’altra per vedere lo stesso mondo, anzi, un mondo che ci cambia sotto gli occhi… così, una mattina, uscendo di casa, senza saperlo, entreremo in un altro ancora, e non lo riconosceremo.

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