La pioggia copiosa di ottobre infastidisce e disorienta, c’è gente che suda l’inferno stretta nei piumini precoci, altra che intirizzisce volando in maglietta e shorts di cornicione in cornicione finchè non atterra col sorriso disagiato qui sotto dove ci sgrulliamo tutti: felpe sociali, post-borghesi insondabili, arricchiti standard, sottoproletari fuori tempo massimo. La tettoia che ci ospita a stento è quella d’ingresso alla nuova clinica ginecologica in via di ristrutturazione nel gessato quartiere Parioli, sulle porte dell’evento effimero e transitorio che si chiama: Tracce Temporanee.
Quello che va in scena è uno strano opus ambivalente, messo tra la brillante trovata promozionale e il rito figurativo-animistico della Street-Art di cui tanto si parla, per dire niente, spesso. Per tre unici giorni, prima di essere ricoperte per sempre da stucchi, pittura e tramezzi finiti, le pareti tirate a nudo dell’edificio ospiteranno le opere di ventinove street-painters, in una dinamica articolazione collettiva di gestualità immaginative e meta-linguaggi espressivi.
Entriamo un po’ emozionati dall’eccezionalità inafferrabile dell’evento, due grandi saloni illuminati dalla discrezione degli spot ci inglobano in un’esperienza che mostra la sua sincera unicità; come vaghi fantasmi dissociati vaghiamo tra le opere calpestando porte, attraversando muri, stazionando nelle sale d’attesa e nei gabinetti virtuali che la pianta della disposizione finale degli spazi ha disegnato in terra.
In una specie di transito topografico che evoca la scarna teatralità di un Dogville, si osservano le opere più o meno riuscite, più o meno finite che grondano dalle pareti sporche e desolate; c’è più polvere e oscurità che altro e sono tanti i meta-contesti virtuali che orientano il significato dell’esperienza di questo miracoloso spazio-evento, tanti da doversi fermare e lasciar scorrere quello che deve scorrere. Così viene in mente l’ombrosa La Paz, i mercati delle streghe dove sono esposti in vendita i feti di lama seccati che ogni buon boliviano usa interrare nella fondamenta della propria casa per ingraziarsi e omaggiare Pachamama, la grande madre terrestre. Un’immagine tumulata conserva il proprio potere enzimatico sulla realtà del genius loci, lo spirito animistico che Tracce Temporanee induce fa credere questo e molto altro.
Così evochiamo lo spirito del Potlatch dei nativi americani, la cerimonia rituale in cui si gareggia per distruggere oggetti e beni considerevoli. Il Potlatch sancisce l’economia del dono, gli ospitanti mostrano la propria ricchezza attraverso la distribuzione dei loro possessi, invitando così i convenuti a contraccambiare con qualcosa di loro. Non abbiamo nulla da dare noi oltre lo sguardo un po’ incantato, non c’è stato chiesto nemmeno un contributo libero all’ingresso e speriamo che il superginecologo dei Parioli se ne faccia carico.
Dopo un po’ che attraversi ipotesi di stanze e corridoi e sale d’attesa e rifletti, immagine su immagine, rimando in rimando, vedi ciò che realmente, o sinteticamente, o del tutto illusoriamente questo grande spazio transitorio mette in scena: un concentrato di espistemologia della Street-Art, più che un’esposizione di opere murarie. Chi si adopera nello Street-painting conosce bene il decorso negativo, rapidamente entropico, dell’immagine sottoposta agli agenti atmosferici e umanoidi che popolano le nostre città e non se ne cura affatto. La figura affrescata si consegna allo scorrere del tempo e del caso, agli scarabocchi irriverenti di Taggers e Writers. E’ solo la magia del gesto urbano che conta, più che l’immagine stessa, ma anche ciò che di sporco e quotidiano fa spessore trova un proprio compimento ammesso sull’idea originale, generando un ulteriore ordine di segno.
Così il valore del processo si impenna di molto sopra quello del contenuto, ed è la stessa sintesi che allude al mondo delle intuizioni spirituali del Buddismo: la sostanza del cammino rispetto all’effimero della meta. Come monaci Buddisti che con certosina attenzione al dettaglio costruiscono un grande colorato Mandala di sabbie poi far si che si disperda. Impermanente è questa sera tutta, nei nostri occhi che ci pare afferrino poco, troppo poco intorno a tutto il ben di dio informale di cui Tracce Temporanee ci ha generosamente fatto partecipi.
Grazie del tour virtuale 🙂
Hola, ben trovato vecchio mio.
io penso che emozioni particolari come queste ci riconciliano con un’ espressività vicina a noi… A volte ciò che è effimero ha una collocazione forse temporanea nella nostra mente, ma rimarrà presente senza interruzioni per diventare come un evento partecipe e forse, incancellabile!
Hai ragione, ciò che è “effimero” è più incancellabile di ciò che fa materia, probabilmente perchè tende a sfuggire.
ohibò! qui sembri quasi colto da illuminazione mistica…
: )))
e in fondo perché no? in fondo si cammina avanti e indietro (dentro e fuori noi stessi) soprattutto per esorcizzare/ingannare l’attesa. meta o non meta, siamo tracce temporanee più estemporanee delle tracce che lasciamo al nostro passaggio su un blog…
peccato abitare così lontano, sennò al prossimo “evento effimero” venivo anch’io.