Ho pensato che cinque giorni da solo non ce l’avrei fatta, ho la testa troppo piena di permessi, concedo udienza a qualsiasi aria che faccia spiffero tra ragioni, così la scena dello show interiore è sempre nervosa e trafficata come una grande piazza hollywoodiana che attende solo il ciak per iperrealizzarsi.
Qualcuno ti telefona e ti chiede precisamente cosa va a fare uno da solo sotto natale nel nebbione apocalittico che grava su Budapest. Tu potresti dare un milione di risposte valide senza allontanare il disagio, ci si spianta per vedere meglio, di solito, o perchè s’intende sviluppare timide branchie sotto il mento in attesa di tempi migliori. Ma poi anche, ci si leva di mezzo le feste per non sentir gridare la bambina di sotto, tutte le urla da telefono azzurro che il padre cerca disperatamente di riallineare a botte contrapposte di amore e rabbia. E non si capisce, giuro, quale dei due faccia più paura.
Allontanarsi vuol dire mettersi su un elastico, prima o poi la realtà tutta torna indietro col quadrato della forza che l’ha scostata. Perciò ci si cala nei flussi indiscriminati, nella nazione unica del pensiero unico che conosce un unico gesto di dominio, evitare che l’elastico ti possa ferire la faccia di rimbalzo. In ogni caso, se c’è un problema è solo di ordine espressivo e riguarda la cura che metti nello scegliere tempi, angolazione e diaframma, questione di secondi e il panorama giusto che avevi inquadrato nel mirino s’è ormai bello che sputtanato con tutte quelle statuette sorridenti che ti hanno superato e si son messe lì, coi bastoncini che rendono smart, col fanne un altra che tanto non costa niente, col fatto che quest’immagine sara’ sottoposta alla visione di scorcio immediatamente a giro nel mondo, e quindi ti devi spostare tu e ricominciare il sacramento da capo.
Ma è ancora più sconveniente, alla fine devi riconoscere, andar da soli avendo intascato molti anni prima i libri, la città, l’infanzia, tutta una serie di giochi da tavolo che hanno tirato dadi e mosso mani fuori dal tempo, popolando territori sconosciuti dentro. Dopo Salgari, il Ferenc Molnar dei Ragazzi della Via Pal è stato il mio testimone segreto fino a oggi, come si fa a spiegarlo, la memoria è la mossa che muovi quando hai bisogno di interrogare il destino.
Budapest ti mette in una croce quieta puntandoti alla gola il taglio definitivo dei viali, l’illuminazione a notte che ti si arrampica sulla schiena a tradimento. Potresti essere caduto in un’imboscata oltre cortina. Alzi gli occhi e ti ritrovi sotto il Ponte delle Catene che sospira nella nebbia, andar da soli o in collettivo è lo stesso genere di deriva malsana, bisognerebbe andare a letto con i paradossi e darci dentro come negri, piuttosto, ad avere un coraggio duraturo, farsi cullare dalla malinconia così com’è esperta la città ad arrangiarsi di notte, d’inverno. La sera del 24 dicembre che è la prima col muso fuori ascoltando i rumori dei negozi che serrano, dei passi che s’affrettano, delle facce che sfumano, della nebbia che s’impenna un altro po’ sui mercatini, sulle strade, sui sentimenti svuotati a gorgo nella sacra corona familiare delle 7 di sera.
Bellissimo questo breve ma intenso racconto di viaggio. Perché si desidera partire da soli durante le feste natalizie? Per evitare quell’atmosfera fatta di sorrisi di circostanza, di finto buonismo ma anche per non voler affrontare i nostri mostri interiori, fatti di legami spezzati, di famiglie allargate o inesistenti. Quello che a volte, prima di partire, non si mette in conto è che non si fugge mai da se stessi, ci si immerge nell’atmosfera del luogo, ci si fa prendere dal gusto del nuovo, ma inevitabilmente torniamo ai nostri demoni, con maggiore intensità. Viaggiamo fuori da noi stessi per poi riabbracciare il senso della nostra identità momentaneamente smarrita
nella nebbia di Budapest.
grazie, si viaggia sempre per tornare a casa, in effetti.
Che città magnifica, voglio troppo andarci!
per me, se la batte con parigi 😉
andare a letto con i paradossi è una bellissima immagine. chi sta sopra e chi sta sotto, viene da domandarmi, sempre che sia possibile definirlo in modo chiaro in un’ammucchiata (sono tanti i paradossi). beh, il prossimo natale, se vuoi, ti ospito qui: la nebbia c’è, il ponte e il fiume pure… e lungo l’argine potresti sempre cadere in un’imboschetto oltre cortina.
: )
bacioni.
bacioni doc, felice della nuova scorreria