Di quel ricevimento esclusivo, di quella serata buona a far brillare una vita intera, benchè avvenuto di recente, Gesualdo non ricorda troppi particolari. La questione morale, di questo cianciava ognuno, nella propria specifica salsa. Ricorda invece perfettamente come, verso fine serata, una buona parte della mandria umana che presidiava l’enorme salone avesse cominciato a cantare l’inno del presidente, e come l’altra metà degli intervenuti, essendo di cordata diversa, si fosse un po’ irrigidita al suonare delle prime note.
Era stato un solo istante, per la verità, poi tutti, senza distinzione di parrocchia, avevano pensato che valesse sempre e comunque la pena omaggiare generosamente il padrone di casa.
E ricorda come al culmine di tutto, nel frastuono delle voci avvinazzate, abbia visto venirgli incontro lei, l’effigie trasformata della Partigiana.
Santina era lì a due passi, era lei, certo che si. Eppure anche no, niente affatto.
E come sfolgorava, gli occhi di una falena intossicata, la quinta tenuta su dal più sfacciato dei Push-up e la pelle, tutta una modulazione di ambra chiara, nemmeno il ricordo di un pelo superfluo. La Partigiana aveva vinto la guerra, su tutto il fronte e per sempre.
S’erano guardati come due insetti catturati in barattoli diversi. Giusto il tempo perchè lei, animata da un falsetto di voce stridente che la diceva lunga, potesse esprimere in pochi secondi quel poco che riteneva necessario sottolineare: quanto fosse bello che la gente dei Colli avesse modo di ritrovarsi lì, quella sera, e anche come lei, nel frattempo, fosse riuscita a far carriera. Santina aveva assunto la direzione di un nuovo maxi-discount di surgelati e cibi pronti, un posto con tutti i confort, a cominciare dalle shoppers salvagelo frost e dal parking free per i clienti gold.
Santina qualcosa aveva vinto. Gesualdo non avrebbe saputo cosa dire di sè. Gli sembrava di dover ancora cominciare a combattere. Quel che dolorosamente aveva visto e sentito non l’aiutava a capire cosa si potesse provare davvero a star quieti finalmente sotto l’ala del bel mondo.
Avrebbe fatto ciò che ci si aspettava lui facesse, va bene, ma Santina era perduta. Questo appariva chiaro, per sempre.
E Santina era di nuovo lì tra i piedi, mezzo abbracciata al presidente Lo Monaco, vicino alla panchina della squadra di casa, appena dietro la linea del fallo laterale. Non era un’allucinazione da shock esplosivo. Gesualdo, benchè semi-svenuto, l’aveva intravista davvero.
La partita stava per riprendere, la gara buona per spingere i padroni di casa alla conquista di un ennesimo scudetto. Mancava poco meno di mezz’ora alla chiusura dell’incontro, la squadra di Lo Monaco aveva bisogno di vincere, soluzione preferibile, o tuttalpiù di pareggiare l’incontro. Anche quello striminzito zero a zero su cui la gara s’era arenata poteva andar bene, a rigor di matematica.
In fondo erano stati solo due petardi, e Gesualdo non ne aveva sofferto molto, anzi. Dopo la doccia si sentiva bene, audace e carico come non ricordava da tanto tempo. Con quell’energia addosso aveva schivato tutta la gente che gli si parava di fronte per chiedergli conto, aveva richiamato le squadre all’ordine e s’era diretto velocemente al centro del campo.
Lo Monaco sorrideva beato dal centro del suo cerchio di potere, Santina pure, ma con l’aggravante di una smorfietta involontaria in cui occhio sensibile avrebbe rilevato un accenno di annoiata lontananza.
Anche a Gesualdo adesso scappa un sorriso, appena un’increspatura di labbra che nessuno coglie, una soddisfazione che riemerge da chissà dove. Il difensore centrale dei Lo Monaco, come fosse il padrone del mondo, con una scivolata a tre quarti di campo ha appena mandato gambe all’aria tutta la dignità dell’ala avversaria lanciata verso rete.
Gesualdo scatta, il cartellino giallo appare come un coniglio nella sua mano e subito diventa rosso. Il difensore era già ammonito, adesso anche lui merita di finire la giornata sotto una doccia, anzitempo.
Gesualdo si dà del matto, che cosa gli succede, tante ne ha incassate senza reagire nella vita che adesso si fa quasi paura, perciò pensa che sia meglio raccomandarsi a dio, o chi per lui. In fondo ha preso solo ad arbitrare secondo regola.
Il pubblico rumoreggia come un gigantesco scarico fognario intasato, il difensore espulso lo spintona di malagrazia, Lo Monaco sta lì che salta sul posto e inveisce come un ossesso. L’ex-Partigiana pare invece rilassarsi d’un grammo, ma nella confusione generale non si può affermare con certezza.
Lui pensa solo a far riprendere il match velocemente. Ci sono ancora venticinque minuti da giocare e nulla è perduto: la squadra di Lo Monaco, anche con un giocatore in meno, è perfettamente in grado di mettersi in difesa e guidare la partita verso un tranquillo zero a zero. A risultato raggiunto anche il presidente capirà, e forse alla fine, durante il brindisi dell’ennesimo ricevimento celebrativo, gli farà pure i complimenti, tanto equo e regolare parrà l’arbitraggio a fine gara.
Ma Gesualdo è ormai ridotto a un fascio di nervi. Ciò che sente di nuovo è un’attitudine cieca alla reazione istintiva, e lui la asseconda, come fino a oggi ha assecondato tutte le autorità che ha incrociato nella vita.
Così, soltanto un paio di azioni dopo, la reazione scatta da sé non appena si sente mandare a fare nel culo di quella strappona di sua madre solo per aver fischiato la miseria un fallo tattico a centrocampo.
Gesualdo si gira e si ritrova l’intero mazzo della squadra di casa che gli urla sulla faccia. Il cartellino rosso salta su dalla tasca per la seconda volta, e i Lo Monaco se la dovranno vedere in nove contro undici per l’ultimo quarto d’ora dell’incontro, se ne sono capaci.
Adesso il direttore di gara somiglia a un funambolo. Per salvare il culo può contare solo sulla saggezza percettiva del proprio baricentro esistenziale. Dopo un’offesa del genere, comunque finisca la gara, si vedrà rovesciare addosso tutta la furia vendicativa della propria parrocchia.
Un porco rinnegato, questo è diventato Gesualdo nel volgere di dieci minuti. Oppure un santo, devoto agli antichi valori di etica e giustizia, una rarità umana nel pastrocchio civile della nazione. Perchè mezze misure il paese reale non le conosce. E questo lo renderà prezioso agli occhi di coloro che si oppongono agli interessi dei Lo Monaco. Gesualdo sta rischiando di salvarsi i fondelli davvero, di passare direttamente agli onori dei salotti che l’aspettano dalla parte opposta della barricata.
Lo Monaco è fuori di sé. Santina, adesso è chiaro, ha ripreso a sorridere, liberamente e senza smorfie. Ed è a lui precisamente che sta sbattendo gli occhioni, sarebbe da non crederci, se non fosse così bello il momento. Perciò amen, la partita riprende tra mille grinte sguainate, tra provocazioni e isterismi e bestemmie barocche.
Gli avversari si sfaldano, intanto, s’intimidiscono al cospetto degli ultimi nove centurioni di Lo Monaco che ringhiano come pitbull impasticcati.
I minuti cominciano a passare con la velocità di lumache tramortite, il gioco si spezzetta come un pane raffermo.
Gesualdo si muove lento sotto l’ambiguità dei riflettori di un paese intero, al centro del campo di gioco, come fosse catturato dalle pastoie di un sogno. Tutta la partita intorno rallenta, e anche un po’ la rotazione precisa del mondo.
Allo scadere del primo dei tre minuti di recupero concessi, l’incontro è ormai chiuso. Zero a zero e scudetto ai Lo Monaco, basterebbe arrendersi, niente di più facile. Questo pensiero felice rimbomba nella testa sfinita dell’arbitro.
Gesualdo prova a immaginare come ci si possa sentire nei panni dell’eroe civile saltafosso, forse chissà, anche con la Santina riconquistata accanto a sè.
Si vede firmare autografi e partecipare ammiccando alle trasmissioni di commento della concorrenza, e sente che potrebbe mettersi a scrivere un libro, persino, qualcosa con un titolo abilmente metaforico, un pamphlet scandalistico che, a carriera conclusa, gli garantirà un’abbondante vitalizio da dissenziente civile, da strillone navigato di talk-show.
Così potrebbe finire. Così gli viene paura, e anche un po’ di schifo.
Il cross arriva inutile da centrocampo, un semplice alleggerimento della difesa avversaria che cade lento verso l’area piccola del portiere dei Lo Monaco, dov’è piazzato lui. Gesualdo ricorda bene le regole dei manuali di calcio, laddove si afferma come la presenza dell’arbitro sul rettangolo di gioco è equiparata a quella del caso, di una gibbosità del terreno, del palo di una porta.
In definitiva, non deve spostarsi nemmeno tanto per rispondere a ciò che la propria follia riconquistata gli ordina perentoriamente di fare. Qualcosa che nessuna parrocchia sarebbe mai in grado di perdonargli.
Ed eccolo lì che salta, Gesubon, vi prego di crederlo.
Guardatelo come s’arrampica in cielo insieme al sole che acceca gli spalti e alle braccia sollevate del portiere stupefatto, a quelle sprofondate nei capelli dei tifosi.
Guardatelo mentre distrugge quel po’ di destino misericordioso che lo aveva fatto salire sul carro buono. E come fa a pezzi pure l’ipotetico carretto degli altri, moralisti da salotto, che scimmiottano puntualmente i modi di quelli cui vorrebbero opporsi.
Gesubon inzucca la palla maledetta, di striscio, di giustezza, e la rete non scherza. Si gonfia davvero, nel silenzio generale intervenuto che pare la fine di un mondo.
A termini di regolamento la rete sarebbe valida. Ma il gesto volontario fa di lui uno sconsiderato senza più arte né parte.
Adesso è così. Nient’altro rimane vivo in lui che il più incredibile dei gol, e il desiderio infantile di mettersi a correre, di abbracciarsi.
E tornarsene subito al grembo fuori mondo del paese.
Anche il timore, forse, che qualche tentacolo armato dei lo Monaco possa stenderlo in un vicoletto cieco, al riparo dalla notorietà sfumata.
Ma non quanto il senso di pienezza che adesso lo possiede, no davvero.
Tutta la sfacciata solitudine con cui i battitori liberi salutano ed escono di scena.
the End
bellissimo… mi stupisci ogni volta che ti leggo, tra l’altro, proprio per fare un inciso, mi sono sempre piaciuti i racconti che parlano di sport, anche in senso trasversale, giusto per allinearsi alle vicende della vita e con essa, tutto quello che ne consegue… 🙂
non scrivo più racconti lunghi da parecchio, le storie ti portano via per giorni ed è una cosa bellissima ma non sempre corrisponde ad altri tipi di ritmi interni che ti governano.