La Regola del Fuorigioco

IMG_0377Tiriamo i dadi per ogni cosa, Schuster, facciamo grandi giochi di società tagliati male, ci impegniamo in transazioni di titoli e negoziamo tutto il tempo, poi a sera sembriamo ancora quelle figure didattiche sforbiciate malamente dal lenzuolo social di una ricerca che promette meraviglie.

Ho preso la sopraelevata ieri sera, Schuster, in quel punto di vertigine che discutemmo una volta, dove c’è una grande curva d’asfalto che fa il solletico ai palazzi guardando in casa agli anarchici, alle nigeriane, ai baristi a cottimo che condividono un posto letto in una stanza senza wi-fi con le bandiere della pace piantate nelle fioriere secche, gente che fa colazione guardando attraverso il traffico il versante opposto su cui si apre il baratro dei depositi delle Frecce, la faccia buona del paese che va a trecento all’ora.

Così, senza un motivo, mentre guidavo storto nella notte producendo psicosi a salve pensavo ai rumori moderni, agli infiniti ronzii di sottofondo che prendono la scena per stanchezza, pensavo al Mattarellum, al Nazareno, a Cirielli e Cirami e al Lingotto, a tutto il Campanile Sera del paese a festa per il nuovo presidente vecchio eletto, come fossimo disforici felici cui raccontare di star tranquilli e che tutto s’è aggiustato, non c’è bisogno di pisciarsi sotto nel letto, la grande Balena Bianca è tornata a nutrirci e il secolo scorso non è mai mutato. Everything’s Ok, andrà tutto bene, come ripetono sempre nei telefilm americani carezzando la testa del ferito sbudellato di turno.

Pensavo più di tutto alla riunione da cui ero appena uscito, una specie di stagno di occhiate periscopiche in cui sguazzavano consulenti giovani e meno giovani, un viluppo di bisce spaventate dalla crisi che si muoveva a scatti, rabbie filtrate stroboscopiche proiettate sulla boscaglia dei ruoli, delle aspettative, delle cordate di intese strategiche, degli organigrammi che fanno pressione, degli insiemi degli insiemi delle cose confuse negli affari privati conseguenti, mogli e amanti e Smart e Taeg, erezioni al 40% al pensiero di una casa in vendita da cinque anni, i pagherò di pagherò al mercato, i figli da menare col downgrade metodologico, l’educazione all’ama ciò che ti ama di riflesso, e restituisci il resto entro i sette giorni previsti dalla legge.

L’Orrore”, Schuster, mi perdoni se ti faccio fare Kurz, ora che la città frigge nel pentolone apocalittico di agosto e noi, a presidiare quell’unico ufficio aperto che ci chiede davvero conto, l’accatastamento maniacale dei significati. Ho trovato una pozza d’acqua sul pavimento della cucina, ieri. Ho aperto il frigorifero e ho potuto constatare tutta la drammaticità del problema dell’effetto serra globale. Pensa che i fiumi si ritirano e vengono alla luce le bombe inesplose della seconda guerra mondiale, i laghi striminziscono e restituiscono le spoglie di qualche vecchia cariatide pelosa che combatteva per il fuoco, e il mio freezer depilato dal Frost ha appeno ridato luce alle mummie di un paio di sofficini Findus ai funghi porcini che non li fanno più da non so quanti anni. Domenica li vado a vendere a Porta Portese nel viale dei vintage.

Ecco come va il mondo Schuster, sto leggendo Mao II di Don De Lillo, una bella bestia di romanzo, impennate visionarie e ripetizione ossessivo-seriale di concetti, emozionante e palloso al punto giusto, riprendere Wharol e sequenze allucinanti di homeless a New York city, senza sentimento, solo osservazione, solo transitare, solo registrare, e si pensa alla gran rottura di maroni che è la zeitgeist post-moderna disidentificata.

Ma niente eccezioni comunque, niente soluzioni, gli scrittori stanno morendo, hanno esaurito la funzione di mettere a ferro e fuoco l’immaginario della gente comune, si passa il testimone ai nuovi terrori liquidi, i terroristi sono diventati di fatto i nuovi cantastorie dell’epoca e gli scrittori verranno riciclati presto nella linea dell’umido. L’Isis eccita febbrilmente la nostra stanca fibra, scoppia una bomba, lanciano un camion e ognuno si cambia la maglietta che esprime solidarietà, siamo tutti tutt’altro, le opinioni marciano in corteo mentre la gente che le guida scompare sotto il tappeto di casa, improvvisamente, un giorno che ha litigato con i figli. Gli scrittori stanno morendo e anch’io per la verità non mi sento tanto bene ecco.

Ora Schuster stammi bene a sentire, dobbiamo trovarci al dunque, perchè a questo mondo davvero è rimasto solo un “dunque”, un “entonce” globale, un gigantesco ponte sospeso sullo stretto dell’esistenza, in una Messina onirica. Non c’è verso di avviare i lavori ma nemmeno di levarli di mezzo del tutto, nell’universo-dunque passiamo le eternità accampati sul confine muovendoci di memoria in visione e ritorno, come una perenne minaccia di agire invece di sentire o anche peggio, sempre in tondo.

Avevamo un appuntamento Schuster, ricordi? Bene, direi di sincronizzare gli orologi, è importante che noi ci si muova coordinati. Oppure perdonami, scegli tu, ma in effetti non mi ricordo più bene chi diavolo tu sia e dove t’abbia davvero incontrato, mi devi scusare, continuo a riscrivere questo testo da quindici anni aggiornando l’attualità delle notizie e non faccio altro ormai nella vita, questo è il mio auto-talk-show perennemente acceso e tu la mia vecchia puttana Floris con la scaletta in mano. Del resto, oggi, chi non ha un amico con cui riflettersi, uno da rimbecillire con la manutenzione proiettiva dell’immagine di se stesso.

Siamo tutti Charlie, siamo Don De Lillo e il centrista Rotondi, ma anche se fossimo Obama o Gesù o le ucraine dalle grandi zinne utili sul tram dolorante che ci riporta a casa, la vicenda del mondo non cambierebbe affatto. E’ la grande nuova storia che democraticamente ci scrive fuori tutti bellezza, Schuster mio, alla prossima.

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