Bury Us Deep

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Girano in macchina di notte e poco altro, si fermano spesso di lato ai parcheggi per precisare i loro mondi, qualche volta l’alba li sorprende e lui fa in fretta, la riporta a casa sulla via Tuscolana senza altro rumore in bocca. Lei allora scende di sbieco, trattenendosi nell’arco della portiera come una madonna che stia per svanire alla luce. Sulla via che slarga dopo il sottovia della stazione l’asfalto è fradicio e riflette un accenno di delizia purpurea.

Da due settimane escono ogni sera, lei sempre bellissima, un po’ distante con accenti filosofici. Qualche volta si perdono nel traffico del lungotevere come in un flusso indistinto di eventi, parcheggiano a stento e camminano fianco agli altri verso i locali che aprono dopo le undici. Se ne vanno dritti senza girarsi in volto, lui con la sensazione storta di averla già rapita e poco importa la pena che dovrà accadere. Ridono ogni tanto, obbligandosi alla percezione di un bene comune che sta nei parcheggi e nelle cose complicate di settembre.

E’ difficile concepire il fuoco attorno a cui stanno bruciando, provano a darsi frammenti, percepiscono motivi densi scontornati da ragioni e provano a sciogliersi nella musica dei Cure, negli anni della svolta commerciale di Wish. Lui non ha niente di sorprendente ma continua ad alternare frasi oscure di Robert Smith, perchè gli pare così di potersi appoggiare a un limite. Ed è un motivo come un altro per invitarla a uscire ancora un giorno in più, dopodomani il gruppo si esibisce in una data unica al Palasport.

Devono solo passare un’altra notte, miles and miles and miles away from home prima, una notte che scovano un parcheggio di traverso a San Lorenzo nell’ora in cui volano le bottiglie contro i muri, si lasciano in vista per non sentirsi troppo soli. Il tempo avanza bocconi e loro strofinati sotto, lui confessa ogni cosa all’immagine che appare, lei potrebbe anche essere simile a un cameo opacizzato nella luce di un cassetto, è tuttoggi che così si sente e di ieri non si ricorda, si guarda un attimo nel buio dello specchietto e avvampa. Chiede per favore di essere guardata bene, non in quel modo buttato lì, ma bene veramente. Lo dice cinque o sei volte come ricominciando da capo ogni volta, prima di confessarsi anche lei. Fanno così tardi che lui si sente piegato nel sedile per sempre, allora rimette in moto e pensa solo al dritto sulla Tuscolana fra poco, alle luci al tungsteno che spargono una tenace malinconia a basso consumo.

Affronteranno l’indomani con i Trans che si sporgono pericolosamente sulla via Cristoforo Colombo in prossimità del grande parcheggio, faranno tre lunghi giri della zona prima di trovare un buco dove infilarsi. A piedi sotto i primi colpi distorti della chitarra di Smith, affonderanno nel buio tra le macchine e in quella maledetta luce arancione che s’è presa ogni notte anche qui all’Eur. Dentro si sta come in un acquario torbido, l’acustica è pessima in ossequio alla pena rituale del Palasport. Così la musica li appiattisce e li scavalca e li ossessiona, oggetti parziali rimbombano nell’etere e lei pare felice malgrado tutto, illuminata dai proiettori di taglio che la fanno bianca e intangibile come uno sbuffo di ghiaccio secco.

Dopo due ore così lui comincia a cedere ai ricordi. Ieri lei ha confessato di essere un’altra e non c’è stato nulla da fare, un’altra davvero. Nessuno l’ha vista com’era cinque anni fa, prima dell’incidente che le ha cambiato la vita. Come si fa a considerarla ancora di questo mondo dopo nove operazioni di chirurgia plastica che l’hanno trasfigurata. Lo diceva a se stessa più che altro che di un’altra vita si trattava e lui non s’era accorto di nulla ma ha ceduto lo stesso e l’ha lasciata andare. Robert Smith accenna un urlo di dolore e le luci lampeggiano e si spengono. Lui la prende per mano e scendono tastando il buio pericolosamente fino alla pozza dell’anello centrale.

If only tonight we could slide into deep black water and breathe, and breathe…Then an angel would come with burning eyes like stars and bury us deep in his velvet arms. Poi la gente esplode e la musica ricomincia in un rimbombo solido, cadono pietre sulla faccia dove loro si guardano e cominciano a ripararsi. Ci vorranno quasi tre ore alla fine perchè ognuno venga espulso di nuovo nella calca del parcheggio e questa storia svapori nelle luci del rientro, capire che ieri è già avvenuto e ogni altra notte si rende superflua.

Capire quando una canzone sta per mutare in un povero Zombi che non potrà più essere compreso, così nascosto insieme agli altri fatti accumulati in un punto preciso della via Tuscolana, un punto che anche a ripassarci vent’anni dopo aver dato alle ortiche il saio dark fa ancora brivido e un po’ di pena.

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