Vengo fuori da un sottotetto, scendo gli intestini del mio condominio in equilibrio tra slanci contrastanti. Certe volte quassù si sente fin nel dettaglio la tenzone delle anime di Chi t’è muort’ che risalgono le scale dagli interni del piano terra, dove le famiglie napoletane stazionano con le eterne porte di casa aperte. Fluiscono su i miasmi sobolliti del cavolo cappuccio, l’esprit de Dixan in eterna epifania centrifuga, l’abbaio selvaggio del canelupo nero deprivato, la scialla del ragazzino amplificato che a scuola se n’è gghiuto pallonando contro i muri e quella del fratello piangente che invece a zinn’e’mammat’ ri-trase.
Non so com’è, invece, ma delle bisbocce pre-natalescenti non arriva quasi nulla quest’anno, salgo e scendo le scale a più riprese durante il giorno e ogni volta m’indigno un po’ davanti ai portoni del IV piano che hanno rinnovato i festoni: sbircio a destra un insignificante nastro dorato che pare sottratto a un regalo dell’anno scorso, a sinistra una coccardina in plexi-vischio che sembra raccolta in un campo rom, di fronte un nulla Zen.
Scendo così al terzo e la partita tra assenza Zen e riciclo trascurato è ferma sul 2 a 2, proseguo spedito nel vuoto iconico del secondo dove evidentemente si sono di colpo votati al culto del Buddha Sakyamuni che non ammette rappresentazioni di sorta e finalmente scorro davanti alla porta del primo dove sono io, per qualche istante, a fare festa.
Come l’altarino di un culto kitch paleocivile, il fronte della casa è occupato da un vecchio braciere dentro cui sta in genere una pianta moribonda o morta oppure il saccone della mondezza per qualche ora, spesso e volentieri; c’è poi sempre, in alto appeso, il grande ritaglio in cartone spiegazzato del fumetto di un bambino che va in bici con la lingua di fuori.
Considero che in questa casa di bambini non ce ne sono, che l’addobbo natalizio portante è costituito da un mini Babbo-climbing il quale, in un primo momento, era stato montato sul campanello di casa mentre ora sono tre giorni che giace come morto, riverso dentro il braciere vuoto. Direi che l’interno 5 comincia a somigliare a una di quelle dimore pericolanti dove abbiamo già visto vivere certi picchiati duri nei boschi del Vermont.
Non so che dire e non sto diventando più buono, mi butto allora lungo l’ultima rampa di scale e atterro in un traffico da quartieri spagnoli, la metà delle volte passo come un ufo tra le due mogli napoletane che fanno Talk come Vespa, da porta a porta: una mi saluta col sussiego acutizzato di una colpa, l’altra m’incenerisce solo di soppiatto come fossi un Cohiba di contrabbando.
Va comunque chiosato che entrambe le signore tengono gli unici due portoni del palazzo coi vecchi tradizionali sistemi di addobbi lucenti e scritte festanti. Buon Natale direi e occhio, consiglierei, che con ste cazzo di porte sempre aperte non si riesce a vedere un picchio di festone acceso e lo spirito si perde.
bellissimo. qui ho raggiunto l’apice della beatitudine 😊”abbiamo già visto vivere certi picchiati duri nei boschi del Vermont” .. ma poi il “sussiego acutizzato di una colpa” ha aggiunto altri punti. Ecco così sì che si può leggere il natale (grazie per il regalo).
😀 grazie a te del carburante, amica mia
🐾