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Per oggi ha issato mezza serranda appena, domani riapre ufficialmente il bar degli sfaccendati di via delle Palme. Guarda Capellounto, son già due giorni che fa avanti e indietro col borsello nervoso a tracolla lungo tutta l’estensione del marciapiede, continua a cercare qualcuno con cui riprendere la lunga arringa che gli vedo e sento fare a ogni ora da dodici anni, data solenne in cui mi trasferii armi e bagagli in questa via. Il locale in effetti vanta tra i migliori capannelli stradali del quartiere, gente che non si sa bene che lavoro faccia tanto il tempo e la passione con cui occupa i tavolini del bar almanaccando di figa, calcio, incidenti stradali splatter. Proprietari del locale sono due fratelli androidi monoespressivi, uno con l’aria svaporata di Stan Laurel, l’altro corrucciato come un Anonimo Cagnesco, se è possibile immaginarsi una versione di Tony Musante abbrutita da indistinguibili giorni che marciano sempre nello stesso punto preciso di spazio, dentro o fuori dal bar periferico. Così quand’è agosto e il sole spacca, la via si svuota e rimane solo il sindaco rumeno di turno a far l’amore con una Peroni sulle panchine delle Betulle, passo io davanti al bar degli sfaccendati ed esito, appoggio una cautela d’orecchio sulla serranda calda e mi sforzo di cogliere il senso di quello che arriva delle arringhe spaccacervella di Capellounto e soci. Perchè sono convinto che ciò che accade in quei 15 giorni di more feriali è solo che qualcuno viene a spostare nel retro del locale la piattaforma su cui sono montati i due fratelli androidi, Capellounto dinamico e tutta la schiera di figuranti con la loro cavernetta platonica esclusiva dove si proietta calciofigasplatter. E domani sul presto, prima che i merli volino e una luce d’alba li denunci, arriveranno le gru di precisione per rimetterli in ordine lungo il marciapiede stretto, senza che vada persa una sola goccia di Campari gin.
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Tra gli infiniti Bar dove si inzuppano le microculture della Suburra, il “Bar A Onda” di via Tor de Schiavi merita una menzione particolare: per l’originalità cross-vintage del contest, per i metri di pizza al taglio invenduta che stazionano regolarmente in vetrina, per il sorriso platonico, gratuito con cui la coppia cinese gerente investe chiunque varchi la soglia (per lo più defilati vecchietti che concupiscono un Hag col Corriere dello Sport), ma soprattutto per la precisione scientifica con cui dal banco si pratica la dialogica stereotipica del tempo che fa. Si fanno le pulci a ogni singolo grado d’umidità in più o in meno qui dentro, un passatempo che m’ha sempre imbarazzato ma che invece al Bar A Onda pratico con trasporto fiducioso, mentre quel bel sapore chimico del cornetto low cost predica la pace del Tao in fondo a tutto.
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Moglie ti guarda un attimo con l’espressione inconsolabile di un soldatino che ha perso il fucile e non sa più trovare la strada di casa. Accade nel mio Giro del Mondo by Breakfast, mi blocco sempre davanti al bar “Nati Stanchi”, riesco solo a dare qualche occhiata preoccupata al di là delle vetrate ma passo oltre nonostante il luogo disponga di tutti gli attributi necessari minimi: fauna locale, esondazione iperbolica del parlato, gestori che recitino una qualche forma di bernoccolo personale. In giro è tutto tappezzato di post-it colorati con le freddure scritte a mano dal barista capo. Si tratta di perle come: “Cercasi Clienti, anche prima esperienza”, oppure: “Non date la mancia, potreste abituarvi.” Quello che mi trattiene è una forma sottile di tensione, come una vaga tristezza che nessuna ironia agita riesce mai a coprire bene. Ci pensano la moglie del barista e le sue due sorelle fantasiose, che hanno un po’ l’aria delle zitelle a carico, a orchestrare il melodramma sottotraccia. Tutte e tre annegano in corpaccioni sformati da una novantina di chili, ma mentre le due sorelle navigano in un tranquillo sorriso arreso da: non c’è più nulla da fare, la moglie del barista avrebbe un bel viso e ti dimostra di esserne consapevole, quando strappa il tuo cappuccino dalle mani del marito perso in qualche triplo senso romanesco che lo attarda e te lo consegna piena di colpa affettata.
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Per amore dell’esperienza papillare è qualche mese che mi sono arenato in questo bar d’angolo ambivalente la cui proprietaria, molto attenta sempre a consegnarti lo scontrino colpevole quasi nella mano, ha uno di quegli sguardi indagatori che ritornano caldo-umani solo in presenza degli intimissimi del locale. Forse il mio sguardo addormentato che giudica serioso, forse qualche frase in italiano troppo corretto, va a sapere, fatto sta che non sono bastate un mucchio di settimane a farla rilassare un po’. Vengo qui a mangiare il regale cornetto con marmellata di amarene e pistacchio e non ho intenzione di recedere, questo mi pare di farle intendere mentre sopporto la lenta camminata finale verso la cassa che finisce per sembrare una specie di mezzogiorno meno un quarto di fuoco, io estraggo le mie monete e lei spara la sua glaciale doppietta scontrino-resto. L’altro giorno, punta da qualcosa, la proprietaria ha preso coraggio e m’ha chiesto: Ma lei lavora con quelli del negozio di computer? Indicando un paio di giovanotti che bevevano il cappuccino al banco, e io non ce l’ho fatta a non canzonarla un po’. Le ho risposto serafico e sorridente: No signora, io sono Single e Free Lance, un battitore libero, e sono sempre al lavoro con l’immaginazione e le storie.
“io sono Single e Free Lance, un battitore libero, e sono sempre al lavoro con l’immaginazione e le storie.” Come dire : nessuno più felice di me.
nessuna verità è definitva 🙂