Linda si spoglia lentamente davanti alla finestra
Una piccola squallida stanza alle spalle
Sulla parete del letto l’ombra gigante del suo profilo
Evidenziato dal chiarore giallino che piove da un’insegna sul tetto
Tiene lo sguardo lontano sui fari che risalgono la rampa della tangenziale
Tiene l’anima stretta come un grande magazzino da sogno
E’ pur sempre vita questa
Sfondando il buio che c’è
Una macchina lascia intravedere frammenti di gesti di un fuori distante
Un telefono premuto tra guancia e spalla
Aderenze d’innamorati
La coda di un cane eccitato che spazza il finestrino
Alle orecchie precipitano suoni ottusi
Vuoto ritmico della notte che striscia rumori
Linda manovra un click di reggiseno da poco
Lo prende con due dita lo lancia verso una sedia -e manca il colpo-
Lui fa un suono di gola -qualcosa come un lavandino che s’ingolfa-
Sistema meglio l’angolo del braccio che sorregge il busto
Schiocca la lingua secca
Come piccole mummie d’amore sotto il letto
Pallottole di Kleenex attendono una degna sepoltura
Linda sfila gli slip e poggia le ginocchia sulla seduta del divano
Mette il viso a contatto con la finestra
Trova liscio e freddo e odore di stucco
Tra poco lo sfarfallio dei fari grandi
Il rumore puntuale del furgone di Marco
Sul cruscotto il thermos preparato da Linda
Marco si volta sempre per lanciarle un bacio
Sicuro di raggiungerla nel mondo dei sogni -tre notti a settimana-
E un’angoscia di cifre intorno al venti del mese
Lui che sta dietro si alza con gesti di fretta
Inciampa nella penombra che li squaglia
Con un grugnito sbrigativo la penetra da dietro
mettendo dentro tutta la cecità di un affare grigio
Linda scoppia in una maschera agitata -per fare presto-
Stringe gli occhi cercando i fari del furgone
Stringe le labbra uccidendosi bestia
Col sollievo anticipato del bacio di Marco
Con la rata del furgone
Cena e cinema domani
E’ pur sempre vita questa
Sai, io non so mai decidermi se il tuo vertice è questo o il Valentino, ma poi mi dico che ne arriverà prima o poi un altro che si lascerà dietro gli altri due di misura (uno che scrive ‘questo’ racconto prima o poi si supera). ma fino ad allora è questo l’acciaio corten, ruvido e bellissimo, della tua penna . non mi stancherei mai di leggerlo,
Voto il Valentino, ovvio 🙂 thanks, Ji
Ora è sottile e lucente come una lama più e più volte affilata. Maneggiare con cura, è tagliente. (
è l’unico racconto-Ikea che tengo, in scatola Drabble da cento parole o in questa da trecento 🙂
PS: E’ partito all’improvviso, subito dopo la parentesi, che non fa parte di alcuna faccina ….
Mi mancava di dire che è incredibile quanto sia attuale questo testo…
“E’ pur sempre vita questa”
Mi hai spiazzata.
Gelsy ti sorride.
Ti sto scoprendo poco per volta! 🙂
anch’io ti sto scoprendo Gelsycara, eone dopo eone:-)
Usare il corpo come uno strumento, riuscire a spegnerlo per facilitargli una violenza e riaccenderlo per accogliere l’amore, dicono che si possa fare e che ad alcuni riesca, per necessità ma anche per vanità, non lo so, ma quello di cui sono sicura e che poi non sarai mai più la stessa. E non è più vita.
certo, avrei le stesse difficoltà, eppure oltre necessità e vanità e tutto il resto rimane il Sè, qualcosa più di noi e poco meno dell’universo, da laggiù anche il corpo è solo un veicolo.
Vero. Ma vero anche che il Sè è in armonia con il corpo, con la postura, il movimento delle mani, il piede nudo che àncora il terreno. Il Sè trova la sua manifestazione nella fluidità del corpo (e non sto parlando di bellezza sia chiaro) e se il corpo subisce una mortificazione anche il Sè ne porterà una traccia.
Ma di cosa sto parlando… ahahah!!!!
non lo so…ma sei convincente assai 😀
Tagliente si, come una lama di coltello affilata, ma del resto la vita sa esserlo in modo così cinico che talvolta per sopravvivere si riesce anche a sdoppiarsi nella propria identità di sentire passione. Io non ci riesco, ma invidio a volte chi lo fa. Ma so che chi lo fa, si, dopo, non è più lo stesso. Nessuna morale, nessun giudizio, perché sarebbe una beffa per chi è costretto già a ridurla così la sua vita. Stritolare la propria vita e essere anche giudicata dagli altri. Terribile. Ognuno ha il proprio Se come giudice implacabile sulle proprie azioni, ed è quello più severo.
eh, discorso che dovremmo rifare tutti partendo da una stato di -vera necessità- non riesco a dimenticarmi, ad esempio, che c’è chi accetta di venir stuprata dal primo venuto sulle rotte si emigrazione sahariane pur di giungere in Libia, dove comincia un altro incubo.
“stato di vera necessità”
Sì, parliamone, Alex.
Difficile da immaginare.
Terribile poichè è realtà!
Gelsy
E’ splendido questo tuo racconto!