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Vengo da un grosso nulla che mi spinge dentro. Mi srotolano con gesti di fretta, mi sbattono al muro, con grossi pennelli sfilacciati carezzano intorno un morbido velo di densità collosa, è roba che cola lentamente fino in terra, è in quel momento preciso che i brividi mi scuotono.
Appaio in una realtà di carne che non mi è concessa se non come riflesso altrui, come atto di credito onnipotente.
Attribuire senso, appartenenza, civiltà, l’idea di me.
Il poco che mi precede giudica se uomo o donna, in che posizione aperta e il numero di me, da quale prospettiva, lo spirito seriale, il grido che nel fantasma scioglie la mia bugia, quella piccola divinità per origami di Kleenex, per i desiderata delle casalinghe sfatte: palpebre blu, occhi di gatta in calore fashion, pelle diafana scontornata, labbra carnose lucidate a rosso, schiuse ad arte su una punta di lingua velenosa.
Il mio creatore è un mago della comunicazione, ma lui per me immagina molto di meglio. Sono stata concepita, stampata e messa lì per pubblicizzare una sensazione, una casa di cosmetici talmente nota da rendere superfluo ogni nome attribuibile in calce.
Sono solo labbra e figura sfumata. Tra le mie due tumescenze orali dovrà passare il fantasma del membro di ogni uomo che mi prenderà nello sguardo in questo punto preciso di marciapiede, qui.
E le donne, le donne dovranno desiderare di essere impalpabili al mio posto, dove c’è me, macchina subliminale di stile e carne, pronta a succhiare il seme della vita dal bastone turgido del proprio innamorato.
Osservo il traffico e le camminate di quelli che vanno a piedi, passo tutto il tempo a cercare di catturare sguardi. Loro fissano un punto preciso oltre, per lo più mi scansano senza degnarmi di un’occhiata e corrono via.
Le immagini giganti, quelle messe in alto sulle facciate dei palazzi, se la cavano meglio di me. Quelle in luce, a figura intera, con le gambe un po’ divaricate, il busto che dà in avanti. Quelle ti guardano e si fanno guardare, qualcuno le studia per interi secondi d’incanto mentre s’avvicina dalla prospettiva di sotto in macchina, in autobus o a piedi.
Io sono piccola, astratta e senza storia, poggiata malamente a un muro vicino a una chiassosa edicola che mi oscura. Non posso permettermi altro scorcio d’identità che un colpo di fulmine subliminale, messa così dietro l’angolo è difficile fissarmi a lungo.
Devo accontentarmi di attenzioni casuali, accogliere per lo più segni tangibili. Segni duri e irriverenti ma pur sempre segni, qualcosa per cui val la pena di vivere.
C’è un ragazzo con la faccia trasognata che passa di qui e mi si apposta davanti tutte le mattine. Strano quel sogno che nei suoi occhi a me rivolti moltiplica il colore, il codice, la trama.
Lui mi guarda fisso la punta della lingua, sorride e sta andando e sorride ancora, fa questo gioco più volte, poi estrae dallo zaino un grosso pennarello rosso, lo scappuccia, disegna con amorevole attenzione un grosso cazzo tra le mie labbra schiuse, tutte le mattine.
Io sono un’immagine, un abbozzo, una frettolosa digestione di frottole non mie, credete che non lo sappia, credete che non riesca a star seduta composta sul mio strapuntino d’esistenza.
E’ per questo che non me ne accorgo più di tanto, anche se oggi sono diventati sette i mirabolanti cazzi rossi che mi s’insinuano nella bocca. A me che predico nel vuoto, può sembrare persino una delicata attenzione di fiori miserabili.
E non me la sono presa affatto ieri notte.
Era tardissimo quando il ragazzo è ricomparso davanti a me in orario del tutto insolito, vicino all’alba, sbucando direttamente dal buio che di solito ingoia questa umida parte di marciapiede.
Era venuto senza zainetto.
Mi sono chiesta con una punta d’inaspettata ansia se per caso avesse scordato a casa il pennarello. Mi sono chiesta cosa avrei potuto fare io se non m’avesse lasciato addosso il consueto amorevole gesto di irriverenza.
Il ragazzo era di spalle, ha fatto un respiro e stava andando. Poi è tornato a girarsi verso di me, mi ha guardato inclinando le spalle e mi ha detto qualcosa, ha sorriso ancora.
La città, intorno, ronzava forte, forte, con la voce acuta dei lampioni gialli al magnesio, verso l’alto.
E’ passato un tram che ha fatto un rumore di ferro straziato e una scintilla in cima.
Il ragazzo si è avvicinato e ha mosso un bacio sospeso, a pochi millimetri da me.
Con le mani sicure, poi, ha strappato via l’ellissi di carta imprecisa delle mie labbra.
E’ stato un attimo, per il ragazzo era tardi, può darsi che non abbia più il tempo per tornare. Io docilmente ho atteso il mattino.
Io con una strana felicità addosso, ho atteso che la città si svegliasse tutta.
Col giorno pieno sono arrivati bruschi gli operai a scrostarmi via dal muro.
Adesso accartocciata sul fondo di un furgone muoio.
Rotolo a destra e a sinistra e non so altro. Mentre cullo quel poco di pallido sguardo colloso che si rapprende ancora, nel buco al posto delle labbra.
Le mie labbra di carta stracciata.
Che bello! Che bella l’idea, una soggettiva da un manifesto.
In realtà, sai, per tante donne è quasi una metafora di vita.
Felicissima per i Porcupine Tree!
grazie Tilly, you made my day, dicono gli americans 🙂
molto bello….
grazie, un saluto
Io sono piccola, astratta, senza storia. C’è perennemente qualcosa che mi fa stare a disagio nei tuoi scritti. Se fosse la realtà, eh, mi chiedo, stracciata lì davanti alle mie labbra?
tu non sai che questo, penso, sia uno dei più bei commenti che aeroplanini abbia mai ricevuto.
se ti poni quell’interrogativo vuol dire che sei scrittrice nell’anima, io l’ho sempre sentito, è ora che cominci a crederci e fare sul serio, ragazza, è questa la rivoluzione, trust me.
ti leggo e, spessissimo, sto davvero male, Alex.
bellissimo ciò che hai scritto, ma sto male.
tu mi porti a chiedermi se la realtà non sia la tua chiusa.
mi comprendi, Alex?
Gelsy
vabbè, ma non esagerate però….se vi faccio venire la “nausea”, non è che uno si può sentire JP Sartre così, d’amblè 😀
besogelsy
io ti posso sentire IP Sartre! perché no? 😉 e mi posso porre mille domande leggendoti. e tu dovresti esserne felice. 🙂
differente è che tu ti senta Sartre! 😉
tu cogli benissimo “la mela”.
besoalex
gelsy
certo, I’m happy 🙂
Sopportare segni duri e irriverenti pur di sopravvivere nell’attesa dell’unico segno importante: quello che ti strappa, che ti provoca dolore, quello dell’amore dolce di chi non sopporta lasciarti andare facilmente. Perché qui stiamo parlando d’amore, vero? oppure sono sedata di rosolio?
Bella storia, ragazzo con l’aria trasognata!
grazie Rossa, ma no, non stavo esattamente pensando all’amore, è la storia di un “fantasma” e di pulsioni parziali, per come la vedo io, ma è pur vero che un racconto, emesso, diventa di chi lo legge, anche.
ma perchè poi, dopo.il 26, stiamo sempre qui a parlare di alcool? 🙂
Beh sai com’è, ho avuto un paio di feste! E poi intendevo rosolio=melassa, sarà l’inverno che mi piglia da romantica. Boh!
ok, un mojito e prosit, allora 😀
non scherzi più, con me 😦
è un peccato
Come non scherzo più? Se ti ho pure trasformato nel ragazzo trasognato!! E il tutto da sobria! 🙂
Oddio… l’ho capita adesso! Ahahah certo che sono proprio una torda.
È vero dopo il 26 sto ancora a parlà di rosolio!! 🙂
finchè si ride, va tutto bene 🙂