“Tutti i disegni sono già stati disegnati, tutti i dipinti sono già stati dipinti, cos’era rimasto per me? Il tuo pensiero è troppo astratto! la fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi, e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica!” – (M. Tichy)
(Miroslav Tichý è un artista, fotografo e vagabondo nato il 20/11/26 a Kyjov. Dopo la fuga dalla polizia ceca iniziò a vivere da vagabondo. La particolarità di Tichý erano le sue macchine fotografiche, costruite con tubi di cartone, lattine, pezzi di stoffa e vecchie parti di macchina fotografiche che riusciva a trovare.)
Da quasi un lustro, non potendo viaggiare quanto il desiderio invoglierebbe, giro costantemente con una compatta digitale in tasca e ho preso l’abitudine metropolitana di fotografare tutto quello che passa nella “testa esterna”, ovvero intorno a me. Mi porto il Viaggio nello zainetto, in un certo senso, e ho imparato a camminare in città due o tre ore al giorno, quando posso. Casa mia, di converso, comincia a sembrare uno strano ricovero di homeless ambivalente, i mucchi di disordine si contendono lo spazio con gli schemi ordinati di una mente che combatte il caos, con il sospetto che una delle strategie da campo più efficaci sia quella di arrendersi, dopotutto.
Anche considerando che la mia macchina fotografica grida ormai vendetta. Una Lumix compatta caduta nella sabbia di Cayo Jutìas cinque anni fa, costata uno sproposito per via dei due interventi tecnici richiesti per spazzare via la sabbia dei tropici dagli ingranaggi, con il risultato di avere oggi ancora qualche granello ballerino che fa le chiazze sulle immagini.
Considerando pure l’attaccamento nevrotico che ho per questo pezzetto di ferro esausto di cui qualsiasi fotografo sensato avrebbe orrore, il piacere che ricavo nel gesto di catturare immagini veloci della strada è impareggiabile, una cosa che qualsiasi Reflex armata di cannone renderebbe viceversa un supplizio, per me e per gli altri.
C’è una componente psicologica enorme nella fotografia di strada, qualcosa che si colloca ben prima dello strumento utilizzato e persino dell’idea di immagine che si forma nella mente di chi scatta: la disponibilità a violare lo spazio di sicurezza dei soggetti umani inquadrati, dell’Altro in senso lato, ovvero del proprio oggetto proiettato nel segno. La fotografia è una necessità, per come la sento io, è una lenza vitale che pesca nell’Ombra, per dirla alla Carlo Gustavo, qualcosa di pre-logico che non mira affatto alla “correttezza”, preferisco i reportage impuri, un po’ mossi, un po’ sgranati e qui mi fermo.
Fotografo anche il mio timore, in definitiva. Più etica che estetica, a ben vedere, per il puro piacere che da bambini si esercita sui castelli di sabbia imperfetti.
“Se comprendi la tenebra, essa ti prende. Arriva su di te come la notte, con le sue ombre turchine e miriadi di astri lucenti. Silenzio e pace scenderanno su te, non appena cominci a comprendere la tenebra. Solo colui che non comprende la tenebra teme la notte. Attraverso la comprensione di ciò che in te è tenebroso, notturno, abissale, diventi semplice.” – (C.G. Jung, Libro Rosso)
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Singolare ciclobarbiere nei pressi della Caritas, stazione Termini.
Palleggiatore rumeno, testa-spalla-testa, non perde un colpo, semaforo via Cavour.
Intenso, fragile e fugace, via Prenestina
Parco delle Energie, via Prenestina
Eau de Zeitgeist, piazza di Spagna
Una Rolls Royce è Per Sempre, via Prenestina
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i grandi personaggi sono anche questi: una semplicità che diventa arte, una semplicità che diventa icona, oppure l’istantanea della nostra vita così come non la conoscevamo, o perlomeno, la conoscevamo, ma non l’abbiamo mai ricordata tanto così come ce l’ha fatta vedere lui !!!
la psiche è immagine, ovvero, letteralmente: “in me mago agere”.
fotografare il timore piace anche me, però tutte le volte che ci provo viene mosso. grrr….
le foto mosse sono molto artistiche 🙂