2001 Hesse Jung

scimmia

 

Herman Hesse fu seguito da Jung in una novantina di ore di Analisi lungo dieci anni della propria vita. Molto della reciproca fascinazione che li legò ruota attorno all’immagine di Abraxas, l’aspetto oscuro di dio, figura centrale della narrazione di Demian e fulcro di ognuno dei misteri psico-alchemici di cui sono seminati i romanzi di Hesse.

Al di là dell’enorme stima e affetto che li coinvolse, scrive Hesse nei propri diari come non riuscì mai a liberarsi dalla vaga sensazione che ci fosse un mistero irrisolto nell’uomo che sedeva di fronte a lui e che lo incalzava con intelligenza e passione, qualcosa di cui molto velatamente diffidava ma su cui non sviluppò mai una posizione precisa.

Notò Hesse con quanta insistenza Jung gli riproponesse la simbologia del dio Abraxas, dando quasi l’impressione di correre su una pista di rivalità reciproca nell’affermazione del concetto. L’aspetto oscuro della divinità, ovvero l’interrogazione sulla quota di male che è insita nell’onnipotenza del bene, segnò l’intero destino di Jung, come ben racconta lui stesso nell’autobiografia.

Facile immaginare i due catturati dentro una grande dialettica passionale ai limiti del nevrotico, o forse pienamente dentro la condizione specifica. In alcune note successive al termine della propria analisi, Hesse scrive ancora qualcosa sul fatto che, al di là del bene ricavato dalla profondità dell’esperienza, non c’è maniera migliore di testimoniare la vita che rappresentandola narrativamente, risolvendo quell’interrogativo sempre presente in sé circa la bontà relativa dei mezzi espressivi reciproci.

Con una nota di critica al proprio analista, come quasi sempre accade nella realtà dei fatti, Hesse terminò l’Analisi nel potere della percezione di un ulteriore aspetto di Abraxas. Si cresce e si cambia fase, umanamente, quando si è capaci di tollerare lucidamente la percezione dell’aspetto opaco, irrazionale, maligno, ineludibile dell’esperienza umana. Abraxas è ciò che la deriva della coscienza normalmente disconosce, teme e discrimina.

In realtà, è solo “odiando” che si impara ad amare e crescere, separando la realtà ambivalente del mondo dall’assolutismo della propria onnipotenza. E’ un osso su cui si ripercuote l’aggressività di una scimmia quello che vola in cielo e si trasforma in un’astronave del futuro, per dirla ancora, meravigliosamente, alla 2001 kubrikiana.

– Pensieri riannodati (ascoltando una conferenza del prof. Sonu Shamdasani)

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